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Tra memorie antiche e visioni

Il respiro del marmo a Taormina: “Gesti scolpiti”, arriva la mostra di Jago al Teatro antico

giovedì 28 Agosto 2025

Nel Parco Archeologico di Naxos Taormina l’arte si fa presenza viva  con “Gesti scolpiti”, mostra personale di Jago, tra i più affermati e sorprendenti scultori italiani contemporanei, che inaugurerà mercoledì 3 settembre 2025 alle ore 19:00 presso il suggestivo scenario del Teatro Antico di Taormina.

La mostra è organizzata in collaborazione con Aditus e Civita Sicilia, con il sostegno di BAM, e sarà visitabile fino al 3 maggio 2026.

La serata inaugurale, a ingresso libero, vedrà la partecipazione dell’artista insieme ai rappresentanti delle istituzioni e sarà accompagnata dalla proiezione in anteprima del video racconto del viaggio della David, la scultura che ha compiuto il giro del mondo a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci, approdando simbolicamente tra queste antiche vestigia.

 

La David e i “gesti scolpiti”

E proprio lì, alta 181 cm, fiera e dorata, la figura scolpita si mostra in tutta la sua tensione: contemporanea e mitica, vulnerabile e vittoriosa.

Il progetto della David nasce nel 2021 con un primo bozzetto in argilla realizzato a mano. Da quell’immagine iniziale sono nate diverse versioni in argilla e gesso, fino ad arrivare al modello attuale, tradotto in bronzo attraverso l’antica tecnica della fusione a cera persa. La versione definitiva, scolpita in marmo di Carrara e alta oltre 4 metri, rappresenterà la pietra miliare del percorso artistico di Jago, impegnandolo in una vera e propria impresa.

In un contesto come quello di Taormina — crocevia di civiltà e teatro di memorie antiche — le opere di Jago si inseriscono come gesti scolpiti nel tempo, testimoni di una continua necessità espressiva che attraversa epoche e linguaggi.

Oltre alla David, la mostra mette in dialogo tre opere in marmo — Impronta Animale (2012), Memoria (2015), e Prigione (2016) — legate dal tema della mano come gesto, segno, identità. 

Gesti scolpiti, appunto: non semplici forme, ma atti fissati nella materia, come reperti del nostro stare al mondo.

In Impronta Animale, la mano richiama le pitture rupestri, l’eco arcaica del contatto con la terra. Memoria è invece un’assenza diventata presenza: un’impronta scavata nella pietra, traccia di chi c’era, di chi è passato. In Prigione, il gesto si contorce nella materia: la scultura non è finita, ma in lotta, corpo che emerge da un blocco, figura che spinge, resiste, tenta la fuga

In questo scenario senza tempo, l’arte non viene esposta: si condivide. Il palcoscenico millenario si trasforma in spazio di ascolto e visione, dove le forme scolpite non restano mute, ma dialogano con la pietra, con il pubblico, con la città. È il paradosso fertile di Taormina: essere antica eppure nuova, classica ma inquieta. In questa alchimia, le opere di Jago sembrano tornare a casa. Non tanto per la loro ispirazione formale, che richiama l’anatomia michelangiolesca e il rigore della grande scultura, quanto per lo slancio collettivo che incarnano. Come se ogni opera, nel suo gesto bloccato nel marmo o nel bronzo, fosse un invito a partecipare a un rito laico: quello della presenza, della memoria, della rinascita.

 

Jago, la biografia: tra rivoluzione e tradizione

Come Taormina, anche Jago vive in bilico tra passato e futuro. Nato a Frosinone nel 1987, ha abbandonato l’Accademia di Belle Arti nel 2010 per seguire un percorso autonomo e radicale. È diventato celebre per l’uso di tecniche classiche — marmo, cesello, anatomia — ma anche per aver saputo raccontare l’arte come processo, condividendone ogni fase attraverso video e social network. La sua notorietà è esplosa nel 2009 con il busto in marmo di Papa Benedetto XVI, selezionato da Vittorio Sgarbi per la Biennale di Venezia e poi trasformato nell’opera Habemus Hominem. Da allora, la sua traiettoria lo ha portato da Roma a New York, da Napoli alla Cina, dalla Chiesa di San Severo al deserto di Fujairah.

Jago

 Jago non è il “nuovo Michelangelo”, come spesso si è detto. È Jago, punto. Scultore del suo tempo, plasma la pietra ma anche l’algoritmo, l’aura e il racconto. Ogni sua opera è il risultato di una tensione: fra rivoluzione e tradizione, fra il peso della materia e la leggerezza dello sguardo. Con The First Baby ha portato una scultura in marmo sulla Stazione Spaziale Internazionale nel 2019. Con Pietà ha riscritto il dolore cristiano dentro una chiesa laica in Piazza del Popolo.

Con il Jago Museum, inaugurato nel 2023 a Napoli, ha restituito alla comunità un luogo sacro abbandonato, trasformandolo in laboratorio aperto. Sempre, però, senza dimenticare il gesto: quel movimento minimo, quella pressione della mano sulla pietra, che genera memoria.

L’intervista con ilSicilia.it che segue esplora questo incontro tra gesto e luogo, tra artista e città, dove a parlare sono le parole, ma anche le forme, le assenze, le presenze. E quel che resta sulla pietra.

 

L’INTERVISTA ALL’ARTISTA

 

Come nasce “Gesti Scolpiti” e cosa rappresenta per te portarlo a Taormina?

Jago:Questa esibizione è sicuramente una meravigliosa opportunità di poter condividere questi pochi valori selezionati che in qualche modo tentano di creare un dialogo con l’eredità culturale che è il teatro. I reperti che troviamo all’interno di questi spazi continuano ad avere un senso di comunicazione con noi. Quindi questi gesti, perché di quello si tratta, come cose che iniziano e finiscono, sono il tentativo di lasciare qualcosa, ma soprattutto di imparare qualcosa. L’installazione è un momento di condivisione in cui ci si mette a servizio di quella meraviglia per sottolineare la bellezza che tutti conosciamo. Entriamo in punta di piedi, questo significa per me. Io di solito non ho la pretesa di voler aggiungere nulla e tento di mettermi in comunicazione con quello che già esiste, eventualmente, come in questo caso. Poi aspetto la fine della mostra per poter trarre le conclusioni, ma me ne vado sempre arricchito in questo senso”.

 

Qual è l’idea che unisce le opere che hai scelto per il Teatro Antico di Taormina?

Jago: “Il teatro è una memoria sotto tutti i punti di vista, una memoria che può essere vissuta perché noi la abitiamo e mettiamo in scena. Viene messa in scena l’intelligenza collettiva e lì accadono cose alle quali noi partecipiamo. In quest’ottica, poter esporre dei soggetti, dei manufatti, dei piccoli manufatti – perché non sono grandi opere – in comunicazione, in dialogo con queste memorie, per me era molto rilevante. Proviamo a fare in modo che ci sia anche l’intenzione di fare un gesto di scultura che possa anche scomparire. Il visitatore che andrà in quegli spazi non dovrà essere distratto dalla normalità della posizione. Non ci deve essere Iago che urla. Abbiamo cercato di fare qualcosa di silenzioso perché potesse essere in comunicazione con quello che già abita quegli spazi, che sono i reperti”.

“Da un punto di vista tecnico c’è il rapporto diretto: si vive lo stesso tempo dell’opera, è come stare a teatro, tu hai la possibilità di poter respirare la stessa aria. Questo è un elemento fondamentale che fa tutta la differenza del mondo. Quello che io condivido sui social mi dà la possibilità anche di misurare il risultato di un pensiero, di un gesto, di un progetto in termini di partecipazione dell’altro che mi aiuta anche a trarre delle conclusioni che non sono soltanto le mie valutazioni, ma che sono anche il frutto dell’interazione dei tanti che partecipano e che eventualmente lasciano un commento. Invece io mi faccio spettatore nel momento in cui espongo qualcosa dal vivo. C’è anche da dire che entrambe le cose possono funzionare e vivere meravigliosamente assieme in maniera complementare da un punto di vista di comunicazione. Non le vedo disgiunte, credo che entrambi questi mondi possano coesistere. Sono cresciuto condividendo le mie cose, non l’ho mai vista come qualcosa di diverso dall’opera, la comunicazione fa parte dell’opera, l’ho sempre vista in questo modo. E quindi credo che quello che accade oggi online, come la preparazione alla mostra, faccia parte dell’opera stessa, faccia parte della mostra, così come il racconto che poi ne scaturisce”.

 

Che legame speri che nasca fra le tue opere in esposizione, Taormina come territorio dove è esposta l’opera e chi verrà a vederla?

Jago: “Ho un profondo rispetto per i luoghi sacri della nostra tradizione e quando mi viene concessa la possibilità di poter mettere in mostra e condividere le mie idee, l’ho fatto sempre in punta di piedi e con la speranza di poter partecipare alla sottolineatura della grande bellezza della quale noi ci dobbiamo prendere cura come cittadini di questa meravigliosa terra. Questo è l’augurio che mi sono sempre fatto e che possa essere anche un punto di riflessione per i visitatori”.

 

Taormina e il Teatro Antico: il palcoscenico senza tempo

In questo senso, Taormina è più di una cornice suggestiva. È parte viva del progetto. Il Teatro Antico non è semplice contenitore, ma interlocutore: luogo con cui Jago dialoga. La David sulle tribune è un atto scenico e un’offerta al pubblico, che può avvicinarsi, confrontarsi, misurarsi.

Questa mostra è anche un piccolo rinascimento culturale. In un’epoca in cui l’arte si chiude spesso nei circuiti elitari, “Gesti Scolpiti” si apre al mondo: gratuita, lunga nove mesi, accessibile ogni giorno.

Un motore di promozione per Taormina e per una Sicilia che vuole essere contemporanea senza rinunciare alla propria storia.

 

 

 

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