Quello dell’acqua in Sicilia è un problema che ormai si trascina da decenni. Nessun governo, di nessun colore politico è mai riuscito a risolvere. Sono ancora tante le zone dell’Isola in cui l’erogazione avviene a singhiozzo. Il problema non risiede certo nella siccità meteorologica, come suggeriscono i tanti luoghi comuni che circolano sul tema, ma nella mala gestione del servizio idrico determinata da leggi nazionali dissennate, che di fatto hanno aperto le braccia all’ingresso dei privati, e governance locali posticce, affidate a manager nella migliore delle ipotesi incapaci. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la rete idrica siciliana continua ad essere un colabrodo, molti cittadini non possono disporre dell’acqua quando e come vogliono, mentre pochi gruppi imprenditoriali, grazie proprio a questa situazione, fanno affari da capogiro. Alla faccia dell'”acqua bene comune”, diritto fondamentale di ogni cittadino.
Così nella giornata mondiale dell’acqua i dati diffusi dall’Istat confermano la pessima condizione in cui versa la Sicilia, insieme ad altre regioni del Mezzogiorno. Secondo le rilevazioni effettuate dall’Istituto nazionale di statistica, nel 2016 il 29,3% delle famiglie lamenta un’erogazione irregolare dell’acqua nelle abitazioni, una percentuale nettamente distante dalla media nazionale del 9,4%. Peggio della Sicilia solo la Calabria, dove l’indice di insoddisfazione sale al 37,5%.
Ad impressionare però sono i dati relativi alle perdite idriche nelle reti comunali. Nelle città siciliane, infatti, si registrano le percentuali più alte. A Palermo, ad esempio, nel 2015 su 90.632 metri cubi di acqua immessa soltanto la metà, 41.149, arriva a destinazione. Nel capoluogo quindi la perdita idrica è del 54,6%.
Della questione se n’era occupata perfino Stefania Petyx per Striscia la Notizia. Entro le prossime settimane partiranno i lavori dell’Amap per la creazione di un by-pass in grado di risolvere temporaneamente il problema della frana sulla condotta idrica di Scillato.
La situazione è simile a Catania, dove a fronte di 59.897 di metri cubi immessi 28.995 arriva nei rubinetti delle utenze autorizzate. Nella seconda città siciliana la perdita idrica totale è del 51,6%. Le società d’ambito pubbliche e private, subentrate dopo la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, che avrebbero dovuto rendere le reti più efficienti hanno fatto poco e niente. Di contro le bollette sono aumentate a ritmi esponenziali.
C’è poi il capitolo dell’acqua potabile. Anche in questo caso il livello di sfiducia delle famiglie siciliane è tra il più alto d’Italia con il 57%. A livello nazionale, come nell’anno precedente, anche nel 2016 tre famiglie su dieci dichiarano di non fidarsi a bere acqua dal rubinetto. La quota di famiglie che dichiara di non fidarsi a bere acqua di rubinetto rimane rilevante nonostante il trend in discesa: dal 40,1% nel 2002 al 29,9% nel 2016. Tale sfiducia è ancora molto elevata nelle regioni del Mezzogiorno con il 63% in Sardegna, il 46,5% in Calabria e il 35,1% in Molise. Unica eccezione la Basilicata, dove è al 16,2%. Al Centro, la percentuale più alta si registra in Toscana (38,9%). Risulta trascurabile, invece, nelle province autonome di Bolzano (2,7%), Trento (3,7%) e in Valle d’Aosta (7,4%).
Una famiglia, nel 2016, ha speso mediamente al mese 10,27 euro per l’acquisto di acqua minerale, in crescita del 3,7% rispetto al 2015.
Le cose vanno ancora peggio sul fronte della depurazione delle acque reflue. I dati diffusi oggi in un rapporto di “Nuova Ecologia”, la rivista di Legambiente, rivelano che la Sicilia è destinataria del 63% delle infrazioni relative alla condanna del 2012 inflitta dalla Corte di Giustizia europea. Una sentenza che riguarda 104 agglomerati. Oltre alla Sicilia le regioni interessate sono: Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Puglia, Sicilia, Lazio, Lombardia, Marche, Sardegna, Valle D’Aosta, Veneto e Piemonte. A livello nazionale il 25% della popolazione non è servita da un adeguato servizio di depurazione.
Le ricadute di tutto ciò nell’Isola si trasformano non solo in una maggiore spesa per i cittadini a fronte di tariffe esorbitanti, ma anche in handicap per gli operatori economici costretti a rivolgersi a soggetti privati per ottenere i servizi di qualità di cui hanno bisogno. Un disagio che compromette la loro competitività economica.