Una malinconia sottile, quella che ti regala l’amore quando non puoi averlo accanto. E tu cosa avrai mai di speciale? Chiuso nel limbo del possibile prima di andare a finire in qualche girone dantesco a far compagnia al mio contrappasso. Perché chi non è riuscito a scegliere l’amore puro finisce per struggersi e morire ogni ora. Sì, ogni ora. Coi rantoli del dolore. Quelli che ti strappano il respiro la mattina, quell’ansia che nessuna carezza può alleviare.
Che sarà mai? Penserai tu, mentre accarezzo da lontano il profilo che fa il tuo naso sul muro mentre dormi. Infatti dormi, non puoi saperlo cosa faccio con te mentre sei nella tua personale dimensione onirica a far funzionare i tuoi conti, i tuoi sogni, le tue paure. Che le sento dal respiro, tutte, le tue paure.
Intanto gira la lavatrice, che i tuoi vestiti avevano bisogno di qualcuno che se ne occupasse. Portami al mare e poi dimmi se potremmo mai essere felici quando il sole si annuvola e tu annidi il tuo pensiero tra le frenesie dei tuoi vizi. Tanti, irredimibili. Che ho scalato le montagne pur di starti accanto. Forse non per sempre, magari per un passaggio lieve come un ponte su un fiume, un accesso breve oltre la riva. Chi può saperlo cosa sarai mentre scappiamo da questa città e ti girano i capelli. Si ti si attorcigliano furiosi sulla fronte, sudati, mentre cerco di raccoglierli dietro. Sulla nuca. E mi guardi strano tu, sei magro, le gambe leggere. Non chiedermi perché ti amo, non lo so ancora e forse non lo saprò mai. Magari perché mi darai il figlio che meritiamo, lieve come le musiche che ascoltiamo durante le notti, sognando di essere liberi. O perché non lo farai mai.
E non è vero che mi abbracci sempre come avevi promesso. E non è vero che mi accarezzi la schiena ogni volta che ho bisogno di allentare questa tensione che mi tormenta le tempie. Guardo i piatti della cena al mattino, quando vai via già stanco e tutto è confuso come le mille idee che ti centrifugano il cervello. Quando non basta dormirsi addosso per essere felici, ognuno ha il proprio padre da tenere alla larga. Ciascuno ha le proprie paure strette tra le scarpe di una giornata. Maledette scarpe. Che male fanno e tu spesso le porti senza calze, giusto per distruggerti gli alluci e mi arrivi impietrito dal giudizio di chi non conta nulla. Ed io, ed io. Io sono Lia, tu lo sai cosa vuol dire e cosa significherà esserlo ancora e per sempre. In questa città che ci ospita e ci trattiene, tra i vicoli attraversati biascicando le parole e i passi. Che ne sanno gli altri, cosa possono sapere? Mi sarebbe piaciuto essere più bella per te, essere in modi infiniti che non avrò il tempo di narrarti.
Ma devo andare, io lo sento l’odore che fai, dopo giorni, addosso. Dappertutto. E osservo il passo sbilenco mentre cerchi di raggiungere i tuoi spazi ed anche i miei. Da lontano. Anche oggi. Anche dopo 35 anni, con la verità che non scava la necessità di esserci. E lasci il tabacco dappertutto, proprio ti scivola addosso ed io di che so? La cenere attraversa ogni spazio, si posa sui tappeti, vola sui libri. In quegli spazi non tuoi che hai imparato ad amare perché mi appartengono.
E vengo a trovarti di nascosto, con la fretta dell’amore che si spoglia e lascia scivolare i vestiti. Forse nei pomeriggi sottratti al tuo dolore, nel tuo letto, col sudore che ci inonda fino a farci scivolare tra i sentieri del possibile. Quando accade che non vai via tormentato. Perché il tormento è la tua specialità, come la mia è essere “cummattusa”.
Ti abbraccio amore mio, ché un giorno troveremo ancora il tempo di amarci e abbracciarlo assieme tutto quello che abbiamo creato. Forse ci saranno mille intrusi tra noi, tanta gente che vorrà esserci, ma in fondo cosa importa? La bellezza si condivide. Ciao a tutti che in fondo oggi state festeggiando la verità. Sì, sono una vittima di mafia, brindiamo assieme. Io sono in buona compagnia quassù, e guardandovi vi dico grazie con una canzone.
Che dite la suoniamo assieme?