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Libri: “Il Confine” di Giorgio Glaviano, un crime da leggere tutto d’un fiato

domenica 7 Aprile 2019

Ci sono libri del momento e libri per ogni tempo e “Il Confine” di Giorgio Glaviano, sceneggiatore palermitano per il cinema e la tv, appartiene sicuramente a questa seconda categoria. Intanto, già il titolo fa sorgere tante domande in quanto “cum – finis” è ciò che separa e ciò che unisce, uno spazio ambiguo e, a volte, tragico.

Il Confine richiama, inoltre, l’alterità e quest’ultima l’identità e, infatti, ci sono sia frontiere  fisiche, che interiori e queste ultime, sicuramente, le più difficili da oltrepassare.

Altro elemento che apre a tante ipotesi è la presenza di un bosco che richiama la “selva oscura” Dantesca e il protagonista, Fabio Meda, un uomo sofferente, di cui sveleremo qualcosa grazie all’autore, una sorta di Dante contemporaneo che fa un viaggio “terreno”, nell’inferno del suo animo tormentato.

Il Confine vi entrerà dentro e non potrete staccarvi dalle sue pagine perché questo “eroe” sui generis, fatto più di oscurità che di luce, più di debolezze che di certezze, si ama perché rispecchia, nel suo essere “umano, troppo umano”, ciascuno di noi.

Il Confine di Giorgio Glaviano

Alla presentazione del libro alla Feltrinelli di Palermo, avvenuta venerdì 6 aprile, l’autore, che ha conversato con Salvo Toscano, giornalista e scrittore, ha ri-velato, scoperto per, poi, ammantare nuovamente questo ordito che diventa trama, lasciando la suspense che solo un bravo sceneggiatore come lui poteva essere in grado di custodire.

Prima dell’intervista, che Giorgio Glaviano ci ha concesso, vogliamo farvi penetrare ulteriormente tra le pieghe del libro. L’idea nasce da un suo viaggio in Maremma con la moglie, nella zona dei Sette Parchi, nell’essersi persi e, poi, ritrovati in un nastro d’asfalto in cui si è materializzata l’idea del “Confine”, qualcosa di antico, misterioso e, contemporaneamente a esso, un uomo, una figura che ha ossessionato l’autore, spingendolo a dargli voce.

Il Confine di Giorgio Glaviano può essere definito un “Crime” che come genere, nato nel 1800, anche se il primo risalirebbe all’anno mille in Cina, durante la dinastia Song, con le avventure del giudice Bao Zheng, parla della restaurazione di un ordine. In questo caso, in Fabio Meda, il confine, l’ordine da restaurare è interiore, morale, per una colpa non sua che lo ha fatto precipitare in basso, devastato da una dipendenza, quella sessuale, di cui si vergogna, che lo schiavizza e non gli genera piacere, ma solo affezione, intesa come patologia, passività della coscienza. Meda ha perso il controllo che cerca, in ogni istante, di ritrovare. Il confine vuole restaurare la sua moralità perduta.

Il verde del bosco, il sommerso, con creature che lo osservano silenti, è ciò che ha dentro, un viaggio terreno, pericolosamente in se stesso. Gli orrori di questo bosco, la scomparsa di tre giovani, combaciano con quelli dell’animo umano, dell’Orco, figura centrale, enigmatica e terrorifica, che va fermato, catturato.

Fabio Meda in un primo momento non vuole indagare sul caso e vede arrivare a Velianova, il paesino per cui ha lasciato, costretto, Milano, per occuparsene, come un segno dal cielo, il capitano Rio, altra figura fondante, la nemesi del protagonista, che “veste” la divisa con amore e di cui  sente l’autorità; ma, ad un certo momento del racconto, il nostro protagonista si troverà costretto ad entrarci.

E qua appare un bellissimo e complesso personaggio femminile, quello di Nevèna, una misteriosa bulgara che, come lui, ha attraversato il confine e di cui il nostro “eroe” riconosce lo sguardo, lo smarrimento e il dolore che sono uguali ai suoi.

Il Confine di Giorgio Glaviano

Altro personaggio è quello di Carmine Treanni, un giullare pugliese che, per ottenere un rispetto e una considerazione maggiori, si finge napoletano e raccoglie in sé tutte le caratteristiche del sud. Meda e Treanni sono una “strana coppia” riuscitissima.

Treanni, che organizza “tour della morte”, è una sorte di Caronte, un capobranco che accompagna tutti coloro che vogliono oltrepassare fittiziamente un confine.

La cosa che colpisce è che a Velianova si ritrovano tutti personaggi che hanno varcato un “limite”: Meda ha attraversato la strada all’autore, il suo destino, incerto fino alla fine, si compierà? Nevèna, colei che porterà un in più di dolore, inimmaginabile, quale legame  instaurerà con l’altro s-confinato? E Treanni, che ha molto da raccontare e che quando arriva è linfa vitale, porta luce e scompiglio, nasconde, forse, un lato oscuro?

A Giorgio Glaviano, trascinati da questa avvincente trama, che ci permette di fare un pezzo di percorso con Fabio Meda e guardare cosa ci sia dall’altra parte, sperando che ritorni con un’altra avventura in quanto ci ha già conquistato e fidelizzato, abbiamo rivolto, mossi da altre curiosità, alcune domande.

Giorgio, partiamo dal titolo “Il Confine” per sviscerarlo ancora meglio. Confine fisico o interiore, il più terribile da valicare?

Intanto, devo confessarti, che il titolo è la prima cosa che mi è venuta in mente. Il libro parla dei confini che sono dappertutto, dalle leggi al codice stradale, dagli aspetti etici a quelli morali. L’intera nostra esistenza è come tagliata e ritagliata da miriadi di confini. Ognuno di noi cerca di vivere all’interno di un bozzolo intessuto con tutti questi confini che sono come fili di seta che abbiamo intorno. Solo pochi nella loro esistenza riescono a superarli. Il Confine è come una sorta di linea dell’orizzonte; nel “Deserto dei Tartari” Giovanni Drogo aspetta l’arrivo, ma non attraverserà mai quel confine, Fabio Meda, invece, è uno dei pochi che lo attraverserà e l’averlo fatto è dovuto a una serie di traumi e vicissitudini che generano una serie di problematiche: perde i gradi, da capitano a carabiniere semplice, viene mandato da Milano a Velianova e tutto questo lo porta lontano dalla sua esistenza. Nel momento in cui incontra, per la prima volta, de visu il bosco, lui lì ritrova davanti a sé tutta l’incarnazione dei confini che ha superato e, improvvisamente, vede fuori da sé ciò che ha dentro e, allora, si rende conto che dinanzi ha ciò che deve affrontare, il viaggio che deve compiere e la storia, stritolandolo passo dopo passo, lo spingerà man mano a precipitare sempre più in basso. Lui, che pensava che più sotto di così non si potesse arrivare, arriverà, invece, ancora più sotto, ma ad un certo punto, grazie al fatto di aver superato il confine, vedrà la luce in fondo al tunnel.

Pensando la bosco viene in mente la “Selva oscura” di Dante e si immagina Fabio Meda come un Dante contemporaneo che, invece, di fare un viaggio ultraterreno, ne fa uno terreno, scendendo nell’inferno della sua esistenza, negli abissi della sua anima.

Hai perfettamente ragione e, infatti, ho provato a metterlo dentro, è nascosto all’interno del romanzo, nei personaggi e nei vari accadimenti. Tutti i personaggi che lui incontra, tutte le cose che gli capitano hanno a che fare con i “gironi danteschi”, chiaramente mutatis mutandis perché io non sono Dante, ma il tentativo era proprio questo, non attraversare in maniera fisica un viaggio, ma in maniera interiore, attraverso la conoscenza dei gironi che lui via via si trova a ridiscendere.

Fabio Meda, questa figura di eroe, fatta più di ombre che di luci, più di incertezze che di sicurezze e che piace proprio perché in fondo ognuno di noi si rispecchia più in un esempio simile che non nel cavaliere senza macchia e senza paura, come e quando nasce.

Nasce da una curiosità: mi sono chiesto fino a quanto un uomo o una donna possano precipitare in basso prima di cambiare e decidere di dimenticare la leggere morale che hanno dentro se stessi. Perché c’è un limite, un basta, da qui, poi, non più. Volevo vedere fino a che punto si poteva spingere in basso Fabio Meda, degradandolo e umiliandolo, con una dipendenza sessuale che lo affligge, non gli reca piacere, ma lo rende uno schiavo. Volevo capire fino a che punto lui potesse essere stritolato, fino a quando potesse rimanere l’ultima goccia di sangue e che cosa avrebbe fatto dopo. Il punto era creare un meccanismo che lo irretisse e lo distruggesse, un po’ come la macchina che immagina Kafka nella novella “La colonia penale“, che è quella che poi dà la base al processo, dove c’è un meccanismo di tortura che incide sul corpo la pena del colpevole. Il punto era quello, Meda viene letteralmente scarificato dalla storia ma, ripeto, la domanda è che cosa avrebbe fatto? Dal mio punto di vista, comunque, se tu resisti, e resisti fino in fondo, alla fine puoi ritrovare una via d’uscita, quello che capita a lui che, la trova anche se dovrà lottare, riuscire e rientrare dal confine che ha superato.

Ultima curiosità: il mistero svelato è un mistero svilito e, quindi, non vogliamo sapere se Fabio Meda, parlando di gironi danteschi, arriverà al Monte del Purgatorio o addirittura vedrà il Paradiso, però tu che sei sceneggiatore lo immagini già protagonista di un film, perché sono un soggetto e una storia da “Settima Arte”.

Nel giro di poco, in effetti, sono arrivate le prime offerte dai produttori. Nonostante sia una storia difficile e davvero sfidante, perché raccontare un personaggio del genere non è sicuramente per una televisione mainstream, ma sicuramente più per una televisione da piattaforma, da Netflix. La proposta che è arrivata è, chiaramente, la serie che è quella che, per il momento, va per la maggiore e un’altra proposta è di farne assolutamente un film. Speriamo, tengo le dita incrociate.

Ringraziamo Giorgio Glaviano per averci fatto penetrare e riemergere dal bosco e oltrepassare “Il Confine” e, aspettando di vederlo trasformato in serie, vi consigliamo di leggere questo libro per viaggiare dentro voi stessi e scoprirvi, chissà, altri da ciò pensavate di essere.

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