La seconda Manovra targata Meloni potrebbe costare cara ai siciliani. Ammonterebbero a oltre 4,8 miliardi i tagli apportati dal Governo, una cifra che si abbatterebbe soprattutto a discapito del sistema infrastrutturale, quest’ultimo in contrasto rispetto a quello Nazionale, in continua crescita ed espansione. E’ questo quanto emerge dal report “Governo Meloni quanto ci cosi” presentato dalla Cgil Sicilia, facendo il punto della situazione al chiudersi dell’anno.
Come emerge, oltre il 37% delle famiglie lamenta difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici nelle zone di residenza. Il segretario confederale Cgil Francesco Lucchesi ha sottolineato come “mentre in Sicilia la percentuale di binari non elettrificati supera il 40%, le reti idriche sono un colabrodo e le altre infrastrutture non se la passano meglio il governo taglia. Arriva pure a tagliare sulla riqualificazione dei beni confiscati alla mafia“.
Il sindacato ricorda nel dossier che il reddito medio lordo disponibile in Sicilia è di 14.764 euro annui, tra i più bassi d’Italia, a fronte di una media nazionale di 19.753 euro e che l’Isola è la seconda regione per bassa intensità di lavoro. Nonostante la Regione non goda di dati positivi dal punto di vista economico, con elevati indici di povertà e di disoccupazione, vedrà ancora una volta limitate le proprie. Oltre il nodo infrastrutture, sotto la lente di ingrandimento ci sono anche settori strategici come la sanità, le cui cifre non sono state ancora definite ma le previsioni si attestano intorno al 10%. L’analisi fa il punto sulle carenze del sistema sanitario, con meno posti letto rispetto al resto d’Italia, meno infermieri, un tasso di emigrazione sanitaria in altre regione del 6,2% e una quota di persone che rinuncia alle cure, principalmente per motivi economici o per le difficoltà di accesso al servizio, pari al 7,2%. “Sono molti gli interrogativi che restano aperti – ha aggiunto Lucchesi – per quanto riguarda il Pnrr, ad esempio sulle case di comunità che non saranno realizzate o sui posti letto di terapia sub intensiva che non ci saranno“.
Sono invece pari a più di 2 miliardi e 400 milioni i tagli al Pnrr, in controtendenza con la situazione Nazionale che vede invece crescere, con la revisione approvata dal Consiglio europeo, le risorse dell’1,73% (oltre 3 miliardi). Sommando a questi la decurtazione del Fondo di sviluppo e coesione per 1 miliardo e 400 milioni, destinati in origine a infrastrutture, dissesto idrogeologico e interventi di coesione sociale e dirottati a finanziare il Ponte sullo Stretto e aggiungendo il taglio al reddito di cittadinanza che non farà arrivare nell’Isola 614 milioni, il mancato gettito fiscale pari a 150 milioni che lo Stato avrebbe dovuto trasferire alla Sicilia e inoltre, i 150 milioni in un triennio come risarcimento dei costi dell’insularità, previsti dal Def di aprile e scomparsi nella Finanziaria.
A preoccupare maggiormente il sindacato sarebbe anche la mancanza di attenzione alla questione meridionale, che verrebbe ulteriormente penalizzata dall’autonomia differenziata idealizzata dal ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli.
“Il governo taglia peraltro nel silenzio e con l’assenso del governo regionale, impegnato solo ad occupare spazi di potere. Inevitabile a questo punto la mobilitazione per difendere e affermare i principi della nostra Costituzione in Sicilia ampiamente traditi, a partire dai diritti al lavoro e alla salute. Una mobilitazione alla quale sollecitiamo a partecipare il più ampio fronte di soggetti e associazioni. Il taglio di oltre 4,8 miliardi conferma che siamo in presenza di un governo che non guarda alla fragilità economica e sociale della Sicilia e del Mezzogiorno“. Ha commentato il segretario generale Cgil Alfio Mannino.
“La situazione dell’Isola – conclude – dovrebbe suggerire investimenti, non tagli. Con le misure del governo, un gioco delle tre carte di segno antimeridionalista, avremo meno servizi, meno risorse per affrontare le emergenze sociali, le infrastrutture interne resteranno carenti, ci sarà più povertà in una regione che oggi, a causa di disoccupazione e di lavoro povero soffre particolarmente il peso dell’inflazione e che presumibilmente vedrà la situazione peggiorare nel 2024“.