Lo Stretto di Sicilia è recentemente diventato un teatro sempre più significativo della competizione geopolitica mediterranea. Diverse, infatti, sono le potenze e gli attori regionali e sovraregionali che si contendono il controllo e l’egemonia di queste acque, strategicamente tanto importanti.
In questo contesto, l’Italia dovrebbe avere un ruolo di primo piano poiché è geograficamente protesa verso questa porzione marittima del Mediterraneo. In realtà il Nostro Paese, fin dall’Unità nazionale, ha tentato di affermare un’egemonia sull’area, riuscendoci soltanto a tratti e per brevi periodi (ricordiamo, per esempio, la campagna libica del 1911-12). L’Italia ha avuto, infatti, un rapporto sempre difficile con questo tratto di Mar Mediterraneo, passaggio obbligato per il collegamento tra lo stretto di Gibilterra e il Canale di Suez. Una vera e propria arteria di connessione tra il sistema dell’Indo-Pacifico e il sistema dell’Atlantico.
Nessun Governo italiano, quindi, è riuscito a controllare davvero ed efficacemente lo Stretto di Sicilia, nonostante venga sovrastato fisicamente. Una mancanza che evidenzia la difficoltà italiana a porre in essere strategie geopolitiche efficaci ma che esprime anche un limite culturale della difficoltà a pensare e a proiettarsi sul mare.
Una mancanza e un limite che dà la misura del peso geopolitico marittimo italiano. Se non si è in grado di controllare l’ingresso di casa, figuriamoci se si può pensare di guardare un poco al di là. Naturalmente a tutto vantaggio degli altri competitor e soggetti geopolitici. Soltanto nel secondo dopoguerra, abbandonata ogni politica di potenza, e sotto la protezione dell’ombrello americano, l’Italia è riuscita a risolvere il problema del controllo dello Stretto di Sicilia.
Ma nell’ultimo decennio si è registrato un minore impegno degli Usa, che hanno iniziato a considerare lo spazio mediterraneo meno importante, preferendo concentrare i propri sforzi in altre parti del globo. Bisogna aggiungere che nel 2011 si è assistito al crollo del sistema di potere dell’area nordafricana, con le Primavere arabe. Fino all’insediamento di turchi e russi in Libia nell’ultimo anno. Uno slancio strategico che ha messo in imbarazzo il nostro Paese, messo di fronte alla propria inettitudine marittima e strategica.
La presenza russa e soprattutto turca ha determinato un cambiamento dell’assetto navale del Mediterraneo centro-meridionale. Qui i turchi stanno dimostrando una certa vivacità, ponendo due fregate missilistiche dinanzi ai porti di Tripoli e Misurata. Una presenza, quella di Ankara, che testimonia il successo dell’operazione condotta circa un anno fa in appoggio del governo-cliente di Fayiz al-Sarrag. Inoltre, sono diverse le forze, aree, subacquee e di superficie, dispiegate dai turchi per controllare la rotta marittima che si dispiega dai porti libici alla Turchia.
Un successo molto importante, quello di Ankara, che permette ai discendenti dell’ex impero ottomano di proiettarsi e di ampliare la propria capacità d’azione verso la Sicilia e potenzialmente anche verso il Mediterraneo occidentale. Un successo che negli ultimi mesi ha di fatto rivoluzionato il quadro geopolitico marittimo regionale. E l’Italia, in uno scenario sempre più frizzante, rimane a guardare.