Carissimi
Chi sa quante volte era ritornato su quel posto con la mente.
Ci tornava costantemente rivivendo la stessa mattinata, sempre la stessa, per cercare dove quella volta aveva sbagliato.
Aveva poco più che trenta anni e lavorava da sempre, non ricordava quasi più di esser stato bambino, ma oggi era lui ad avere dei bambini da crescere e da mandare avanti e una moglie a casa che non lavorava, correggo, non aveva un lavoro esterno, ma faceva la casalinga e accudiva ad una casa e una famiglia tirando avanti con il minimo per sopravvivere, anche lei una eroina dei giorni d’oggi.
Ogni mattina, mentre fuori era ancora buio, lo stesso rito, in quella piccola cucina, i bambini ancora a letto, il caffè che deodorava l’aria e loro due, seduti al tavolino a fare conti.
Il tempo di afferrare il pacchetto con quello che sarebbe stato il suo pranzo e poi verso una nuova e ripetitiva giornata in cantiere.
Quante volte questa scena, con qualunque tempo, farsi trovare all’angolo per il padroncino e i colleghi che passavano a prenderlo con il doppio cabinato.
Ma quella mattina percepiva inconsciamente che c’era qualcosa che non funzionava, lo aveva fatto presente a chi di dovere ma la sua denuncia non aveva suscitato null’altro che una semplice risposta del datore di lavoro: “Se ti piace è così se no te ne stai a casa e ti vai a cercare un lavoro da un’altra parte.”
Il signor Mario no, non avrebbe mai risposto così a una tale richiesta di un suo operaio, lui sapeva cosa significasse la sicurezza in un cantiere avendo perso un giovane figlio che lavorava con lui per un incidente mortale.
Il signor Mario (Zio Mario) era stato il suo primo datore di lavoro, gli aveva insegnato il mestiere e gli aveva sempre detto che le cose sul lavoro dovevano esser fatte bene e che se c’erano tutte queste leggi e controlli ci doveva essere un motivo.
Lo Zio Mario aveva la sua piccola azienda edile in regola, pochi operai regolarmente e giustamente pagati compreso di contributi e ogni spettanza, tutte le certificazioni a posto, tutte le qualificazioni regolarmente possedute.
Ricorda ancora il giorno in cui in lacrime Zio Mario gli dovette comunicare che era costretto a licenziarlo e chiudere la ditta dopo tanti anni e sacrifici perché non ce la faceva più ad andare avanti onestamente visto che molti dei suoi concorrenti riuscivano a fare ribassi d’asta incomprensibili.
Dovendo tenere tutto in regola e avendo spesso denunciato ciò Zio Mario si era pure guadagnato la nomea di “malacaratteruso e rompiscatole” e oltre al danno la beffa, la nomea da parte dei suoi concorrenti che lavorasse male ed era inaffidabile.
Pensava a ciò mentre nel doppio cabinato raggiungeva il cantiere odierno e nello stesso abitacolo il suo collega Mahmud dormiva appoggiato al finestrino. Mahmud come Kadir o Fahrid, sapeva di loro a malapena il nome e soltanto i loro sorrisi, ma non conosceva la loro storia che non poteva essere diversa da quella di tanti altri disperati che erano venuti a cercare fortuna dalle nostre parti.
In cantiere li chiamavano i fantasmi perché erano addestrati a scomparire nel momento in cui si fosse materializzata una figura sconosciuta.
Se ci fosse stata quella tavola fermapiede ed un corretto parapetto su quel ponteggio, se Mahmud avesse avuto le scarpe antinfortunistica e la cintura e non quelle ridicole scarpe di ginnastica rosse, se quei caschetti non fossero stati caschetti giocattolo, se il datore di lavoro li avesse formati e informa… troppi se.
Mahmud quel giorno non avrebbe dovuto salire su quell’impalcato e quando per scherzare con Kadir si distrasse un attimo non percependo il movimento della gru e perdendo l’equilibrio…
Accadde tutto in un istante, un volo di quindici metri ma fatale, poi l’ultimo ricordo di quelle scarpe da tennis rosse su un cumulo di ghiaia, rosse come il sangue di Mahmud, rosso come il sangue di tutti, ma in contrasto con il pigmento della sua pelle, nero come quel lavoro e come Kadir e Farid, scomparsi subito dopo.
Chi lo sa se lui si ritenesse più fortunato costretto da allora su una sedia a rotelle e salvato soltanto dalla sua vecchia cintura ereditata dalla dotazione dello Zio Mario, ma non dal caschetto distruttosi dalla caduta di un tubolare che gli arrecò i danni permanenti.
Continuiamo a chiamarle morti bianche, ma spesso sono ancora frutto di coscienze sporche che di bianco non hanno mai avuto nulla.
(Ogni riferimento a fatti e a persone è puramente casuale… tutto il resto… )
Un abbraccio, Epruno