I Carabinieri della Compagnia di Bagheria, nella mattinata odierna, hanno notificato un fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura della Repubblica e dalla Dia di Palermo nei confronti di Luca Mantia, 32enne di Termini Imerese, accusato, in concorso con altri soggetti noti, di “omicidio volontario premeditato, aggravato dall’uso delle armi e dal metodo mafioso”.
Mantia è ritenuto uno degli appartenenti al gruppo di fuoco che nella notte tra il 24 ed il 25 ottobre 2009 ad Altavilla Milicia assassinò, a colpi di pistola, sotto la propria abitazione, Vincenzo Urso, giovane imprenditore del luogo.
Il provvedimento è stato emesso a riscontro delle dichiarazioni fornite dai neo collaboratori di giustizia, Francesco e Andrea Lombardo e Massimiliano Restivo, tutti coinvolti, a vario titolo, nel delitto.
“Il movente dell’omicidio – spiegano i carabinieri – è da ricondurre all’indebita concorrenza lavorativa messa in piedi da Urso a discapito dei Lombardo e di altri esponenti mafiosi del mandamento di Bagheria, i quali, come la vittima, svolgevano l’attività imprenditoriale di “movimento terra” nella zona di Altavilla Milicia e Palermo. In più c’era il forte risentimento di alcuni esponenti del mandamento mafioso di Bagheria nei confronti dello stesso Urso per il suo atteggiamento poco rispettoso e scarsamente compiacente nei confronti di alcuni capi storici della consorteria mafiosa”.
Tutto iniziò quando Vincenzo Urso prese del materiale presso la Calcestruzzi Sicilia senza pagarlo. Il nonno di Lombardo, proprietario della fabbrica, gli parlò, ma Urso “usò un tono che gli fece capire che era protetto”. Pure Pietro Granà, anziano capomafia, interpellato attraverso il boss bagherese Onofrio Morreale, confermò la situazione a lui favorevole. Perché Vincenzo Urso “si occupava delle mediazioni immobiliari più importanti, tra cui quella di Chiarello-Imburgia”, riguardante un terreno di proprietà di Ottavio Marrobbio, “che era protetto da Francesco Zarcone”.
Così i rapporti tra Urso e Francesco Lombardo si fecero tesi: “Disse ad Antonino Zarcone che mio padre era sbirro e pertanto lo invitò a non prendere le nostre difese”. “Nell’estate 2010 o 2011 ecco la punizione: c’erano Claudio e Riccardo De Lisi, Pietro Liga, Michele Cirrincione e Gino Tutino”. Andrea Lombardo stesso era fuori a fare da palo. Liga, con la scusa di offrirgli un caffè, attirò Urso nel tranello e fece entrare gli altri: “Urso fu denudato e intimidito ma non picchiato, secondo quanto mi fu riferito. L’indomani Urso si andò a lamentare con Granà, che era a pranzo con Zarcone”. Il boss oggi pentito aveva autorizzato l’azione per “mandare un segnale a Granà”, il suo commensale, “dimostrando la sua vicinanza con mio padre”. Poi Urso e Lombardo senior si incontrarono con Granà e fecero pace.
Il figlio del boss di Altavilla Milicia, Andrea Lombardo, come già scritto si è pentito. È stato condannato, insieme al padre Francesco – proprietario del bar Bellevue – nei processi Argo e Reset. Il 38enne è accusato con il padre di essere il mandante dell’omicidio dell’ex cognato, Vincenzo Urso. Nasce probabilmente da qui la sua scelta di collaborare con la giustizia. Una decisione che sin da subito ha fatto tremare la cosca di Altavilla. Proprio perché il figlio del boss conosce tanti segreti del clan.
“Come ben sapete – ha detto Andrea Lombardo nel corso di un interrogatorio – mio papà già da tempo collaborava con i Servizi segreti, questa voce era arrivata all’orecchio di altre persone, diciamo a livello mafioso, e naturalmente si ripercuoteva su mio papà; era arrivata anche a Vincenzo Urso perché mio papà gli aveva dato la confidenza, come l’avevo io la confidenza; lo sapevano anche gli inquirenti, eravamo a conoscenza della collaborazione di mio papà con i Servizi segreti sia io che l’ex cognato Vincenzo Urso”.