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Orlando, lo statista di città a cui i ‘democrat’ si sono consegnati

sabato 30 Settembre 2017
Leoluca Orlando

Magari alla fine ha ragione lui. Magari, alla fine, la sua lista va in doppia cifra e salva la faccia al centrosinistra. Magari però non finisce così e per lui non succede niente lo stesso: “Io ho già vinto”, ha sorriso Orlando ai cronisti due giorni fa all’incontro con Micari a Palermo.

Nella sua risata c’era tutta la forza beffarda di chi ha piegato le resistenze di un gruppo di ‘democrat‘ svuotato di idee e di energie e che ha ben pensato di concentrarsi sulle sue liste nei territori.

Del resto meglio perdere che straperdere.

Un Arcipelago di contraddizioni e di facce che alla fine non spunteranno in lista. Questo rischia di essere il contenitore di Orlando, la lista dei territori che doveva esportare l’abusato ‘modello Palermo’, quel figlio della circostanza,  che lui ha saputo spacciare per un’alchimia imbattibile.

Orlando, l’altro giorno, era il solito fiume in piena che non trova argini: «Il professore Micari non ha voti? Micari ha consenso e sarà il prossimo presidente della Regione siciliana perché sarà votato dalle persone che non l’hanno incontrato e che magari non lo incontreranno mai. Chi ha ancora la vecchia calcolatrice dei consensi è tagliato fuori dalla storia: Micari è il punto di sintesi tra consensi e consenso».

Chi non ricorda Clubber  Lang, il pugile che cercava Rocky, nel terzo episodio della saga, e poi arriva spompato al round in cui perdeva tutto e andava al tappeto?

Orlando è ormai questo. Provoca, colpisce e torna indietro. Urla il cambiamento e mette la più grande distanza possibile tra  il dire e il fare: «Io sono uno statista, probabilmente la Sicilia non è pronta per essere governata da uno statista».

Non importa che Orlando abbia pronunciato questa frase incidentalmente, una ripartenza in contropiede in cui, rifiatando, aveva fatto dire qualcosa di “cool and safe” a Micari, sorridente e gentilissimo.

Non importa che, tranne Romano e Pagano, quasi tutti lo abbiano ‘graziato’ non per il contenuto della frase, ma per la misericordia con cui spesso in tanti non gli hanno ricordato in questi anni i suoi errori.

Orlando che si autoproclama leader e stacca tutti, alla fine schiaccia anche sé stesso. Quella parte di sé almeno chiamata  a fare le liste, reclutare i sindaci e le personalità della società civile. Allungare il passo con nomi ‘di peso’. Il cesellatore delle ragioni degli altri,l’uomo che deve ricucire. Il traghettatore delle ambizioni altrui. L’ascoltatore paziente. Tutti ruoli e aspetti che Orlando ha deciso di non coltivare.

Piccole facce di un prisma molteplice. Effetti collaterali di una personalità a cui molti hanno preferito doversi inchinare, piuttosto che prendersi la briga di dover contrastare.

Così Orlando, vince sempre e comunque. Almeno così lui pensa che la gente possa ritenere.

Il fatto è, e lui lo sa benissimo, che “se una brutta figura costa un soldo”, è pur vero che il siciliano, che lo consideri o meno uno statista, lo ha pesato da tempo, rinchiudendolo nel suo fortino dorato di Villa Niscemi.

La Sicilia lo ha atteso a lungo, ma poi si è dovuta rassegnare al fatto che è solo uno statista di città. Scusa se è poco. Direbbe Diego Abbatantuono

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