Il ”Dammi e tè” della politica, termine rispolverato recentemente con discreto successo, da un dirigente del Partito Democratico in Sicilia, alla fine, non sarà l’unico problema del sindaco di Palermo Roberto Lagalla. L’espressione di uso dialettale che indica lo scambio non disinteressato di ruoli, caselle e posizioni tra i partiti e i personaggi che hanno popolato nelle ultime giornate l’argomento caldo, cioè il rimpasto in giunta al Comune di Palermo, è solo un fatto, quasi fisiologico, che l’ex assessore regionale alla Formazione del governo Musumeci dovrà smazzarsi. C’è di più.
La scaramanzia infatti, filo rosso comune, sottile e invisibile (almeno fino a un certo punto), continua a legare il “non detto” delle cose con quell’alveo stretto e spesso artificialmente alimentato da gossip e pettegolezzi degli addetti ai lavori di partiti, segreterie e uomini di coalizione che contribuisce a tenere in vita “i mali discursi”, tanto per usare un’ altra espressione di gergo, riepilogativa, ma che fissa perentoriamente l’asticella verso l’alto nel livello di difficoltà.
La zona grigia da cui però alla fine non si scappa, irrompe, muta, ma giorno dopo giorno meno silente, nella crisi comunale che a Palazzo di città a Palermo si comincia a respirare in maniera non più blanda e noiosa, ma sempre più definita ed evidente.
Una crisi che ha un corpo, ma anche un’anima (se vogliamo fatta di potere, di richieste e di sedie di riposizionare, ma ormai chiara e non più impalpabile) e che per volontà degli esponenti di riferimento, oltre che per naturale corso delle cose, dovrà essere snodata e riavvolta in una sequenza diversa dal sindaco Lagalla.
Ma quanto pesa e che c’entra la scaramanzia nella prima turbolenza di Sala delle Lapidi?
Crocetta, Micari e Ferrarello, per esempio, tanto per fare dei nomi non proprio a caso, cosa hanno in comune con Roberto Lagalla?
Politicamente poco o quasi niente, se non fosse per il fatto che da questa illustre terzina nel 2017, in occasione delle elezioni Regionali, poi vinte dal centrodestra con Nello Musumeci, uscirono tre vittime illustri dell’abbraccio mortale con i renziani. Il governatore uscente e non ricandidatosi, il candidato alla presidenza del centrosinistra e il “mister preferenze” delle Madonie, ma non solo, in quell’occasione infatti pagarono dazio proprio su quello. Il sindaco di Gangi in particolare sommò un numero di preferenze (oltre 10mila) che nel Pd gli sarebbero addirittura valse il seggio a Sala d’Ercole ma non gli servirono a nulla dal momento che nella lista d’appoggio a Micari in cui scelse di candidarsi non ci fu il quorum.
Ma, che c’entra oggi Lagalla con i renziani?
In teoria, ed è questo il punto, niente. In pratica invece si.
L’”Orlando di centrodestra” come viene definito l’ex rettore dell’Università di Palermo, infatti, mantiene in vita un gruppo consiliare farcito di renziani che non aiuta a comporre le atmosfere belligerante del centrodestra che va in cerca di poltrone e di deleghe assessoriali. Non manca chi in questi giorni ha posto anche in maniera esplicita e diretta la questione al primo cittadino che di suo deve comunque risolvere il rebus dei posti in giunta da assegnare.
Anche a voler tenere conto, sussurrano alcuni, della possibile rigenerazione di Forza Italia con possibile allargamento del perimetro a Matteo Renzi, conviene a Lagalla avere una “maglietta” con cui è identificabile, o non è forse meglio continuare a fare il “padre nobile” di una coalizione che già di suo, di per sè, è bravissima a litigare?