Alla vigilia del voto per le elezioni politiche del giugno 1976 tutti percepivano un grande consenso elettorale che si respirava attorno al PCI, al punto che si dava per certo lo storico sorpasso sulla Democrazia Cristiana.
Alla fine il PCI registrò un grande successo raggiungendo il massimo storico del34,5%, ma la DC che era data per sconfitta andò avanti anch’essa, scongiurando il pericolo del sorpasso comunista.
Il ribaltamento del risultato fu dovuto a un grande giornalista, Indro Montanelli che, una settimana prima del voto, in un editoriale divenuto famoso, agitando il pericolo di un risultato che poteva mettere in discussione le libertà democratiche, i precari equilibri militari tra USA e URSS, l’economia di mercato e quant’altro offriva il vecchio armamentario anticomunista, concluse con il famoso appello: “Turatevi il naso e votate DC”, nonostante, quindi, riconoscesse che quel partito avesse mal governato e si fosse macchiato di gravi scandali e corruzione nella gestione della cosa pubblica.
In questa brutta campagna elettorale qualcuno ha tentato, sommessamente, di rinverdire il vecchio consiglio di Montanelli. Il pericolo, ovviamente non erano più i comunisti ma le forze cosiddette populiste e anti-sistema che con una loro vittoria avrebbero portato il Paese fuori dall’Euro, dall’Europa, con gravi conseguenze sull’economia che si stava riprendendo, impoverito il paese, in un trionfo della xenofobia e del razzismo e l’abbandono di ogni forma di solidarietà.
Su questo hanno insistito Berlusconi e Renzi, sia pure con argomenti e posizioni diverse, che escono entrambi sconfitti dalle urne, anche se il primo può trincerarsi e consolarsi dietro la vittoria della coalizione.
Gli elettori al contrario, infatti, hanno preferito non turarsi il naso, respirando anche qualche cattivo odore che emanava dai Grillini e da Salvini. Ha prevalso, infatti, la richiesta di un cambiamento radicale, in particolare dalle fasce più deboli, dai ceti popolari, dalla piccola borghesia e di nuova generazione nella speranza di uscire da un’insostenibile condizione di disagio sociale.
Il dato che emerge è che sono i garantiti, quelli che stanno meglio, che complessivamente hanno superato la crisi con pochi danni hanno votato PD e Forza Italia, mentre operai e disoccupati si sono rivolti a Di Maio e Salvini.
Il risultato di Forza Italia, se si pensa al disastroso dato di partenza, si deve essenzialmente all’impegno diretto di Silvio Berlusconi, ma anche lui non riesce a sfondare poiché percepito come difensore e sostenitore del sistema.
Il dato di questo voto è, infatti, il suo carattere antisistema che ha spinto molti che nel passato avevano disertato le urne ad andare a votare nella convinzione che fosse possibile finalmente dare una spallata definitiva al sistema. In tal senso, il voto porta con sé anche elementi di pericolo e di ambiguità nella misura in cui la distruzione del sistema si fa coincidere con il sistema democratico.
Il voto apre una fase inedita della storia della Repubblica, uno scenario che presenta una scomposizione del sistema politico come conosciuto finora.
Non vi è più un centro politico che aveva svolto storicamente una funzione importante nella politica italiana, né vi è più una destra e una sinistra intese nel senso tradizionale. Vi sono più destre e più sinistre, in una frammentazione e scomposizione in verità più estesa a sinistra ma che coinvolge anche la destra.
Vi è una destra europeista e liberale che, a differenza degli altri paesi europei, appare minoritaria, mentre emergono due nuove forze di destra con la peculiarità che nessuna delle due hanno un riferimento con la tradizione fascista italiana, un’area questa in cui viene relegata la pattuglia della Meloni.
Vi è, infatti, una destra in cui il populismo s’intreccia con il nazionalismo, “Prima di tutti gli Italiani”, con venature xenofobe e autoritarie, un sentimento che pervade molti paesi europei, in particolare dell’ex blocco sovietico. Non a caso guardano a Putin come modello di “democrazia” e che hanno trovato una concreta manifestazione nella vittoria elettorale di Trump, che ha fatto leva sulla paura degli americani di un possibile declino e di perdere il primato economico miliare e politico nel mondo.
Vi è, poi, il Movimento Cinque Stelle che, abbandonati i toni accesi e barricadieri d della prima fase, il “VAFFA di Grillo”, si presentano come espressione di una destra moderna, con l’ambizione di realizzare un progetto politico, di cui sono pochi i depositari, ma forti di un retroterra culturale e ideologico che ripropone il vecchio modello della democrazia totalitario vagheggiata dal Rousseau, rielaborato dal vero capo e teorico del movimento, Casaleggio, la cui scomparsa aveva creato un momento di sbandamento, da cui però il movimento si è ripreso. Un’esperienza originale nel panorama politico non solo europeo ma anche internazionale.
Infine con questo voto si chiude la vicenda politica del PD avviata da Walter Veltroni e conclusa da Matteo Renzi.
Sulla sconfitta pesano ovviamente gli errori commessi da quest’ultimo, dalla sconfitta nel referendum costituzionale, alla non comprensione della valenza politica del voto siciliano che si è riproposto a livello nazionale, alla gestione del partito, fino alle scelte delle candidature e alla composizione delle liste.
Renzi, tuttavia, ha rappresentato l’ultimo serio tentativo di dare una risposta alla crisi della sinistra, superando ideologismi frenanti e aprendo, dopo l’amaro epilogo dell’esperienza di Prodi, una fase politica che aveva suscitato tante attese. speranze ed entusiasmo.
Le cause sono però più strutturali. Sul declino di questa esperienza pesa la crisi generale in Europa della sinistra e della socialdemocrazia, di un movimento che non riesce più a essere in sintonia con il sentire comune della gente, a interpretarne i bisogni e a indicare prospettive, com’era stato capace per meta del secolo scorso.
Si sono otturati i canali di comunicazione e di partecipazione e come l’acqua quando non trova sbocchi si disperde in mille rivoli, così fanno gli elettori.
Mentre alcuni, dopo questo risultato, si daranno al loro sport preferito, quello di riaprire faide interne, rese dei conti, vendette pubbliche e private, in ” cupio dissolvi” che sembra inarrestabile, altri si crogioleranno nei loro comodi seggi parlamentari, in una sterile vocazione minoritaria.
Nutriamo, tuttavia, la speranza che vi sia ancora qualcuno cui sta a cuore il futuro di questo movimento, affronti i nodi strutturali di questa sua crisi, partendo dal grande patrimonio politico e morale che abbiamo alle spalle, che riscopra il codice genetico del riformismo socialista, cattolico e repubblicano, non per conservarlo ma ricavarne elementi e materia per inverare un nuovo pensiero politico.
Una sinistra in grado di produrre senso e visione del mondo, un progetto di società, su cui selezionare una nuova classe dirigente che riconduca a unità le diversità in un mondo che sta vivendo radicali mutamenti economici, sociali e culturali. Solo così può aspirare ad esercitare un ruolo storico di cambiamento e riconquistare i suoi riferimenti sociali oggi smarriti.