Prende sempre più campo la privatizzazione del servizio idrico in Sicilia. L’impossibilità dei Comuni di stare dietro ai costi elevati della gestione dell’acqua, pone dubbi e incertezze sul futuro di quella che ormai è diventata una vera e propria corsa all’oro blu.
Anche l’ultimo rapporto di Legambiente, “Ecosistema Urbano”, sull’indicatore che riguarda l’efficienza delle reti idriche e che calcola la differenza percentuale tra l’acqua immessa in rete e quella dispersa, vede le città siciliane occupare i bassifondi della classifica. Gravi carenze gestionali e strutturali e i problemi legati alla qualità dell’acqua aggravano la situazione della disponibilità, già in grave difficoltà a causa dei cambiamenti climatici.
Confrontando e consultando i numeri dei report Istat, la perdita media superava il 47% già tre anni fa. Oggi raggiunge la soglia del 50%. Questi dati riflettono anche l’insoddisfazione dei cittadini siciliani che lamentano “un’erogazione irregolare dell’acqua” che “nelle abitazioni non è scesa mai sotto il 30%“. La dissipazione della risorsa ricade anche sui costi che incidono maggiormente per le città. Ma non risparmia neanche le piccole realtà: si va da un minimo del 20%, nel caso in cui l’acqua sia di proprietà della fonte, a un massimo del 40%.
L’argomento è stato più volte ripreso da Roberto Di Mauro, assessore dell’energia e dei servizi di pubblica utilità, e non a caso, pochi mesi fa, aveva annunciato l’arrivo delle gare per i gestori unici entro la fine dell’anno. Gli interventi vanno a rilento e in quasi tutte le province il “dilemma dell’oro blu” è quotidianamente sul tavolo delle discussioni. Basti pensare che già tre anni fa 17 Comuni del Trapanese chiesero alla Regione di individuare un gestore unico capace di sostituire Eas. L’Assemblea regionale siciliana stanziò un contributo di 23 mln, impiegato per sistemare i conti perché molti dei pagamenti degli enti locali in questione erano di fatto bloccati. In quell’occasione, l’emergenza fu tamponata con l’intervento di Siciliacque. Ancora oggi la zona continua ad essere a secco. Ma non finisce qui. I riflettori dell’emergenza sono puntati anche sui territori di Messina, Enna e Siracusa.
La privatizzazione sembra a questo punto l’unica strada percorribile. Ma questa decisione apre molteplici scenari, facendo rimbalzare diverse questioni: l’acqua può essere così ancora considerato, come indicato per legge, un “diritto umano inalienabile“? La privatizzazione porterà benefici aggiuntivi? Converrà alle tasche dei cittadini o sarà causa di nuove criticità?
“In Sicilia le privatizzazioni, anche di grossi privati, sono già fallite, lasciando anche debiti sulle spalle del pubblico. Il caso di Girgenti Acque è il più clamoroso, nel quale è intervenuta anche la magistratura“. A dichiararlo è stata Antonella Leto, presidente del “Forum siciliano dei movimenti per l’Acqua e i Beni Comuni”, che ha spiegato le motivazioni che pongono il movimento contro le privatizzazioni: “Sono un aumento dei costi per i cittadini. Nessun privato gestisce per beneficenza: devono fare profitto e lucro. Questo profitto viene pagato dalle tariffe versate dai cittadini“.
Un altro punto è legato strettamente a valori e fattori democratici. “Nel referendum popolare del 2011 la maggioranza degli italiani, e dei siciliani, si è schierata contro la privatizzazione del servizio idrico e soprattutto sulla possibilità di fare profitto sulla gestione dell’acqua. In Sicilia – ha sottolineato – vige la legge 19 del 2015, secondo cui non si può trarre profitto dalla gestione dell’acqua. Pensiamo che la nomina di commissari straordinari ad acta, mandati dal Governo, sia errata e fuori legge. La gestione mista, come si sta proponendo, è una possibilità ma in Sicilia questa è interdetta dalla legge regionale“.
“Se i privati gestiscono dei finanziamenti pubblici – ha dichiarato – in questo caso i fondi del Pnrr, i fondi di programmazione europea 21-27 o i fondi dell’accordo quadro, questo denaro deve essere usato per migliorare la qualità del servizio, rifare le reti, gli impianti e le infrastrutture. Questi lavori sono pagati dalle tariffe versate dai cittadini che non devono pagare il lucro e il profitto bensì il servizio. I Comuni – ha aggiunto – possono fare un’azienda speciale consortile che gestisca senza fare dividendi ai soggetti privati e investendo gli eventuali utili proprio nel miglioramento del servizio“.
“Se il sistema idrico fosse oneroso nessun privato si proporrebbe di gestirlo. Se c’è un privato interessato è perché sa che gestirà tariffe e importanti fondi pubblici. Il pubblico – conclude Leto – dovrebbe tutelare gli interessi delle generazioni presenti e future, per mantenere un bene comune e primario sotto il controllo diretto delle comunità locali, non di un’ipotetico azionista che possa decidere sul destino e sul futuro di un bene essenziale per la vita e lo sviluppo dei territori“.