Mentre la politica siciliana pensa alle elezioni e nelle scorse settimane ha approvato una Finanziaria azzoppata, mandando tutte le questioni più spinose nel cosiddetto “collegato” che stenta a partire, c’è una vicenda di cui pare non freghi niente a nessuno: il palazzo.
No, non si tratta delle solite beghe dei corridoi, che tanto piacciono ai politici di casa nostra, più abituati alle trame interne ai loro partiti che agli interessi dei cittadini. Stiamo parlando del Palazzo dei Normanni.
Che la politica siciliana continui a servirsene quale sede dell’Ars è questione troppo lunga da affrontare qui, ma di certo c’è che chi si avvicina al Palazzo Reale – che fu Reggia e sede imperiale di Federico II di Svevia – trova una porta chiusa che fa a pugni con l’aver inserito Palermo (con il suo itinerario arabo-normanno) fra i beni del patrimonio Unesco: si tratta del portone principale del Palazzo, sbarrato e inaccessibile.
I politici, i funzionari e dirigenti dell’Ars, i collaboratori parlamentari e quanti si recano negli uffici dei gruppi parlamentari possono accedere nell’edificio da un ingresso laterale che dà sul piano principale, mentre i malcapitati turisti sono costretti a entrare nello storico palazzo dall’ingresso posteriore, quello situato su piazza Indipendenza.
Una situazione che dura praticamente da sempre e che pareva fosse sul finire. Eppure, nonostante le rassicurazioni, quel portone è ancora tristemente chiuso. Conseguenza: i politici continuano ad entrare dall’apertura che dà sul piano principale (o anche dall’ingresso di piazza Indipendenza, a loro la scelta è consentita), mentre i visitatori, come fossero intrusi, vengono fatti accomodare dal retro, così da non disturbare deputati e portaborse, impegnatissimi a risolvere i problemi dell’Isola.
La domanda è: per quanto ancora? Che cosa si aspetta a fare quello che in una città e in una regione normale dovrebbe essere naturale e cioè terminare i lavori e aprire finalmente il portone d’ingresso ai visitatori? Patrimonio dell’Umanità o della casta? Ce lo chiediamo e lo chiediamo agli onorevoli dell’Ars e in primis al suo presidente Giovanni Ardizzone.