L’anniversario della scomparsa di Bettino Craxi, avvenuto la scorsa settimana, non ha avuto alcun momento significativo nel ricordare una personalità rilevante che, senza nascondere errori e contraddizioni, fu protagonista importante dell’ultima fase di quella che viene definita comunemente la Prima Repubblica, segnata, peraltro, da avvenimenti drammatici.
Il leader socialista è stato ricordato solo, per iniziativa della Fondazione a lui intitolata, in Tunisia, dove è sepolto, il paese che lo aveva ospitato, come esule per alcuni, come latitante per altri.
Un comportamento quello della politica italiana, impregnato di provincialismo, in coerenza con il disegno di cancellare la memoria storica di questo paese che invece andrebbe vissuta anche criticamente, se non si vuole privare la Politica di valori forti, idealità, passione civile.
Craxi ha rappresentato il tentativo di costruire un’alternativa al moderatismo della Democrazia Cristiana e all’egemonia del Partito comunista nella sinistra, per smuovere un sistema politico bloccato dal monopolio del governo e dell’opposizione da parte dei due partiti maggiori.
La sua presidenza del consiglio si caratterizzò per dinamismo e innovazione sia nella politica interna sia in campo internazionale, quando per esempio sfidò il potente alleato americano, impedendo ai marines, sfiorando un conflitto a fuoco con i carabinieri, di ripartire dalla base di Sigonella con i terroristi palestinesi che avevano sequestrato la nave di crociera, l’Achille Lauro, difendendo la sovranità dell’Italia.
L’ONU gli riconoscerà prestigio internazionale nominandolo consigliere speciale per la pace e la sicurezza. Un ruolo apprezzato dai movimenti di liberazione nazionale, come L’OLP di Yasser Arafat, da quelli del Sud America che si opponevano ai regimi dittatoriali e dai gruppi clandestini che si opponevano nei paesi dell’EST al comunismo e che Craxi aiutò politicamente e finanziariamente.
Un coraggio politico che mostrò anche nella discutibile decisione di istallare i missili americani a Comiso, fino all’ultimo scontro con il PCI di Berlinguer culminato con referendum sulla Scala mobile che affrontò e vinse.
Vi è però anche l’ultimo Craxi che rinuncia a candidarsi a leder della sinistra sull’esempio di Mitterrand in Francia, isolando i comunisti e stringendo un patto di ferro con la DC più conservatrice per salvaguardare la sua presidenza del consiglio.
Vi è il Craxi che non comprende il valore innovativo, lui che aveva lanciato l’idea della grande riforma istituzionale, del referendum di Mario Segni per introdurre la preferenza unica e il sistema maggioritario, invitando gli elettori ad andare al mare e a disertare le urne.
Non colse il mutamento epocale che comportava la caduta del Muro, limitandosi a valorizzare la sconfitta del Comunismo.
Non colse il nesso di quell’avvenimento con la vicenda italiana a cominciare da Tangentopoli. Fino a quel momento il sistema e le sue istituzioni, anche quelle giudiziarie, avevano tollerato il finanziamento illecito ai partiti che, di fronte al pericolo del Comunismo, spingeva tutti a chiudere un occhio, cosi come per lo stesso motivo si evitava di imprimere un’accelerazione eccessiva nella lotta alla mafia.
E così l’arresto per tangenti del socialista Mario Chiesa viene liquidato come una vicenda locale, opera di un “mariuolo” che nulla aveva a che fare con il PSI.
Sarà invece quell’episodio che darà l’avvio a quel ciclone giudiziario che sconvolgerà il Paese e i Partiti e sancirà il suo tramonto politico fino al suo ultimo discorso in Parlamento dopo che era stato raggiunto dall’azione giudiziaria.
<< Tutti sanno che buona parte del finanziamento politico è irregolare e illegale……Non credo che ci sia nessuno in quest’aula che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi o fati s’incaricherebbero di dichiararlo spergiuro>>.
Nessuno si alzò! Poi seguirono gli insulti, il lancio di monetine, una vergognosa campagna di demonizzazione di stampo fascista. E poi le condanne, il triste rifugio ad Hammamet, la malattia, la morte.
I suoi errori e la sua caduta politica trascineranno in una crisi irreversibile il partito più antico e glorioso della sinistra italiana.
Palermo avrebbe motivo per ricordarlo ed esprimergli gratitudine. La memoria va a quel terribile 28 luglio e 6 agosto del 1986 quando furono assassinati dalla mafia il commissario Beppe Montana e il vice questore Ninnì Cassarà con l’agente Roberto Antiochia.
Una città sconvolta! Una delegazione del consiglio comunale, guidata dal sindaco Leoluca Orlando, si precipitò a Roma per chiedere al presidente del Consiglio Bettino Craxi misure straordinarie per fronteggiare la criminalità mafiosa e la crisi sociale.
In quell’incontro emerse una sensibilità sociale che rifuggiva dalla demagogia e dalle retoriche promesse in cui il suo famoso decisionismo si combinava con la coerenza delle scelte e dei comportamenti.
Venne a Palermo, partecipò ad una seduta straordinaria del consiglio comunale e pose la sua firma in un importante documento che prese il nome di Emergenza Palermo.
Nel suo discorso affermò di voler restituire alla capitale dell’isola la sua vera faccia di città grande per storia, cultura e tradizioni che “stanno alla pari con le più amate e prestigiose città italiane”.
Impegno per una lotta a fondo contro la mafia che “appare alle corde e condannata dalla coscienza dei siciliani ma non ancora sconfitta definitivamente”. E poi ancora bonifica sociale, occupazione e risanamento del centro storico. E affinché gli impegni non restassero nel vago, indicò fasi, tempi e strumenti di attuazione. “Il lavoro va dato e non promesso” esclamo! Tutti impegni che furono mantenuti.