Carissimi
La mediocrità costa pochissimo, ormai quasi quanto la scarsezza.
Se noi siamo il meglio che c’è in giro probabilmente c’e qualcosa che non sta ruotando nel verso giusto.
Non crediamo più nella forza della rappresentatività democratica, lasciamo in mano ad altri tipi di contesti il compito di dettare le opinioni e noi come lobotomizzati prendiamo appunti, riportiamo frasi altrui, ci facciamo opinione su tutto, diventiamo esperti di materie impensabili una volta che la TV ci accende davanti agli occhi un tema qualunque.
Abbiamo ridicolizzato la politica attraverso la derisione dei suoi protagonisti, miniamo giornalmente la loro autorevolezza e così facendo allontaniamo la politica dalla gente comune, ne creiamo quasi un rigetto che fa il paio con la volontà di chi dall’alto ne ha tolto le preferenze e scelto le nomine.
Il candidato diventa uno stalker al momento dell’elezione e scompare di colpo il giorno dopo, mettendo specialmente dopo il successo costruito a tavolino mediante una nomina su un collegio sicuro, rimanendo un “santino parlante” attraverso profili nei social nella stragrande maggioranza dei casi non gestiti neanche in prima persona, e quindi mai un dialogo, mai un confronto, ma solo sterili prediche faziose.
La ridicolizzazione degli eletti (senatori, deputati, consiglieri) si perpetra in quei corridoi della notorietà (ad esempio nei pressi del parlamento) dove “giornalisti di scuola santoriana” inseguono fastidiosamente il politico che cammina per strappargli un parere, il più delle volte provocandolo o chiedendogli di giocare in una pseudo operazione simpatia.
No, io non capirò nulla di politica, ma non accetto che questa possa esser ridicolizzata o offesa per rispetto di tutti coloro che hanno dovuto sacrificare la loro vita affinché noi avessimo il diritto di votare e fossimo rappresentati nella casa della politica, il parlamento, luogo nel quale tutte le istanze dalle minoranze, alle maggioranze e alle opposizioni, trovano sede per esser discusse e diventare leggi democratiche per la nostra convivenza civile.
Questa democrazia ognuno vorrebbe tirarla prevalentemente dal proprio lato, come una coperta corta dilatabile, ma non possono esistere surrogati, non possono esistere anchorman o circoli o contesti ridotti nei quali qualcuno possa pensare di orientare o addirittura sovvertire senza passare dalle urne la “volontà popolare”, ciò è alla base della democrazia, diversamente parliamo di altri sistemi.
Pertanto impariamo a rispettare le regole che ci hanno messi insieme, personalmente non sarò mai un suddito e ringrazio di esser nato in un paese e in una epoca nella quale non esistesse la monarchia o la dittatura e pertanto da buon giocatore, gioco la mia partita, nella mia squadra, nel ruolo che mi è stato affidato e gioco la partita fino all’ultimo istante con l’unico scopo di vincere, ma ciò non può togliermi dopo aver fatto il mio dovere sino all’ultimo, la libertà di esprimere il mio giudizio su come abbiamo giocato, su i miei “avversari” e perché no, sull’arbitro, specie se ha arbitrato male riconoscendogli la facoltà di poter sbagliare in quanto umano, ma mai perseverare.
Si vince soltanto se si compete e si compete soltanto se esistono gli avversari e lì si battono sul campo, appare evidente che lo sport preferito da qualcuno negli ultimi tempi è stato il vincere facile facendo in modo che la competizione neanche avvenisse squalificando in partenza l’avversario al fine di competere da soli, bella pensata se alla fine di tutto ciò non stessimo parlando della gestione del bene comune.
Per quale motivo chi vince deve prender tutto, anche con l’arroganza che ne deriva, pensando che gli avversari perdenti debbano rimanere a guardare senza neanche poter esprimere la propria opposizione e il proprio dissenso all’occasione? “Libertà è partecipazione”.
Non esiste a mio parere peccato maggiore dal giungere a gestire qualcosa che è di tutti come se fosse una proprietà privata, traendone vantaggi per il solo svolgimento del proprio dovere nella gestione della cosa pubblica, non si intende questo per “amministrare”, chi amministra lo fa per la collettività, sia chi ha vinto o chi ha perso, figuriamoci per chi ha pareggiato.
Non siamo un paese serio, lo dico spesso e me ne rendo conto nel momento in cui in assenza di educazione civica nelle scuole, da grandi dobbiamo ripeterci concetti banali fin quando avremo libertà di professarli.
In ultimo, non ridicolizziamo il termine “sobrio” specialmente se è usato nella gestione di un ruolo di rappresentanza, la gente non ci ripagherà per il nostro presenzialismo, i nastri tagliati, ma per il lavoro che avremo fatto a tavolino mettendo nelle condizioni chi dovrà sul campo realizzare le cose, di farle bene e con i giusti strumenti.
La qualità nella scelta della classe dirigente, in una democrazia e per la gestione della cosa pubblica è la maggiore responsabilità che chi ambisce a governare, deve ricercare, poiché non sarà un fatto di poltrone a fare la differenza, non saranno “uomini soli al comando” a generare “campioni” a maggior ragione se la loro “maglia non sia bianco-celeste” e non sia una gara sportiva di ciclismo, ma la capacità di fare squadra e di attorniarsi di staff competenti.
Se, fatto ciò, raccoglieremo i frutti del nostro lavoro e se saremo stati convincenti avendo fatto gli interessi del nostro paese (o territorio) verremo rieletti, diversamente al prossimo turno vinceranno gli “altri” e non sarà una tragedia se impiegheremo quel tempo per ragionare sui nostri errori, prima di ripresentarci con un nuovo progetto e candidarci a vincere.
In definitiva, in democrazia non c’è una successione divina o un conclave a porte chiuse che sceglierà il nuovo monarca, non saremo soggetti passivi ad aspettare con “fede” una fumata, un vincitore, democrazia è libertà e ripeto partecipazione, non mi sembra cosa da poco e io me la terrei stretta.
Un abbraccio, Epruno.