«Una falla nell’antimafia. Un lusso che lo Stato non si può assolutamente permettere. In ogni caso, un segnale di arretramento e debolezza che la mafia potrebbe cogliere per avviare nuove, come dire, “baldanzose” strategie criminali. Le mafie vivono anche di segnali e il rientro di tanti criminali nelle loro sedi di provenienza viene “venduto” come un fatto che consente all’organizzazione di rialzare la testa. L’Italia non ci guadagna».
Così Gian Carlo Caselli, in un’intervista de “La Stampa”, ha commentato senza mezzi termini il problema scarcerazioni di centinaia di mafiosi avvenute negli ultimi giorni. L’ex procuratore di Palermo e Torino oltre che capo del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) oggi nella bufera, ha compiuto ieri 81 anni.
Sul ministro della Giustizia Bonafede spiega: «Se è vero che hanno fatto tutto i giudici? È vero. Ma al di là delle intenzioni, un ruolo importante sembra aver avuto anche la circolare Dap del 21 marzo che richiedeva a tutte le carceri un elenco dei detenuti sofferenti di certe patologie. Lo Stato deve tutelare la salute di tutti i detenuti (mafiosi compresi) oltre che del personale penitenziario, anche in situazioni di emergenza pandemica. Il paradosso è che i detenuti al 41 bis e quelli in alta sicurezza vivono in carcere in condizioni che comportano ben pochi rischi di contagio. La scarcerazione deve essere una extrema ratio».
E non lesina critiche: «Sono d’accordo nel definirle scarcerazioni di massa. Non solo per il numero (quasi 400), ma anche per un certo “approccio” burocratico. Non pare sia stata presa in considerazione la pericolosità del detenuto con particolare riferimento all’ambiente d’origine cui viene restituito. Quando si tratta di mafiosi, le implicazioni sulla sicurezza pubblica sono purtroppo di assoluta evidenza. Il loro rientro sul territorio comporta il concreto pericolo che molti possano approfittarne per rientrare in un modo o nell’altro – rafforzandolo – nel giro delle attività criminali tipiche della mafia».
E parla della Trattativa Stato-mafia: «Il 41 bis, letteralmente intriso del sangue delle stragi del 1992, è per cosa nostra una ferita aperta. Pentitismo e 41 bis sono da eliminare (Riina si sarebbe “giocato anche i denti”) e la riprova sta nella sentenza di primo grado sulla “trattativa Stato-mafia”. E’ in atto una campagna per dissolvere il 41 bis che invoca ragioni umanitarie. Su questo versante non si può scherzare».
Sulle sentenze della Cedu e della Consulta che hanno cancellato l’ergastolo ostativo, Caselli attacca: «Sembrano ispirate a una sorta di distacco dalla realtà. sembrano dimenticare che ci sono anche le vittime dei delitti di mafia (familiari compresi), i cui diritti non sono da meno di quelli dei mafiosi detenuti».
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