Qualcuno dice che io sia eccessivamente “boomer”: con questa espressione assolutamente giovanile, si intendono coloro che a Palermo – e in generale in Sicilia – vengono definiti “stòliti”. Per coloro che ci leggono da fuori Sicilia e non comprendono questa simpatica parolina, il “boomer” è colui che ha modi di pensare antiquati, obsoleti, mi azzardo a dire anacronistici, fuori dal tempo: è la solita, vecchia, storia generazionale dei figli contro i padri, dei padri contro i nonni e così via a ritroso.
Non so se costoro hanno ragione, ma su certe cose sarei capace di urlare fino alla prossima settimana: qualche giorno fa, parlando con una ragazzetta, mi sono sentito dire che “senza i like sui Social non sei nessuno! Senza i cuori su Instagram, i retweet su Twitter, e i like su Facebook sei definitivamente nessuno!”. E già qui ci sarebbe un attimino da ricordare, alla giovinotta in questione, cosa sia la realtà e cosa sia la virtualità, ma credo ci sia qualcosa di molto peggiore in sottofondo.
Le nuove generazioni stanno dando sempre più importanza alla vita e alla “presenza” virtuale, e sempre meno a quella reale. E che nessuno venga a dire che “è colpa della pandemia e dell’uso smodato della virtualità che ha preso il posto della realtà”, perché questo tipo di ragionamenti esiste già da tanto, troppo tempo. E mi preoccupa doppiamente, soprattutto da “addetto ai lavori”, che non fa altro, tutto il giorno, che avere a che fare proprio con community, commenti, like, retweet, cuori, emoticon ed altra roba assortita.
Mentre scrivo questo post, mi torna in mente l’assurda – e per certi versi irreale – conversazione che ebbi, pubblicamente, un paio di anni fa su Instagram: una pseudo influencer, ma di cosa non l’ho ancora capito – a distanza di anni, venne a dire a me che “avevo soltanto 5000 follower. Non ero NESSUNO”. Adesso: a parte il fatto che, onestamente, persone così mi fanno ridere di gusto, anche se ci sarebbe da piangere, e neanche poco, credo che simili affermazioni vadano realmente inquadrate in un’ottica davvero seria. Possiamo, di certo, star qui a fare mille battute e raccontare mille aneddoti, ma la situazione è tutt’altro che divertente!
Questi giovani, questi ragazzi, arrivano realmente a svendersi per quel like in più, arrivano realmente ad organizzare intere vite virtuali fatte di comunicazioni, di messaggi, di “stanze” in cui scambiarsi ore ed ore di messaggi vocali… Ma esattamente… Per cosa?
E’ inutile essere ipocriti, suvvia: un simile ragionamento posso ancora giustificarlo (e neanche tanto) in un’ottica aziendale: siamo in tempi difficili, e un’azienda che vuole realmente puntare sulla sua immagine online, gioco forza deve puntare ad importanti risultati di presenza sul Web, e questo comporta – specialmente per noi addetti ai lavori – di realizzare le esigenze che ci vengono richieste, ed in questo senso posso comprendere l’importanza che rivestano le visualizzazioni ed i like, specialmente verso eventuali investitori o verso particolari inserzionisti pubblicitari che, giustamente, intendono vederci chiaro prima di investire i loro soldi verso quella determinata azienda. Tutto assolutamente corretto e, in qualche modo, giustificabile (sempre fino ad un certo punto).
Trasporre, però, questo ragionamento nella vita reale, di tutti i giorni, su persone di 15, 16 anni, che usano questa “discriminante” per offenderti gratuitamente, senza neanche prendersi la briga di immaginare che, di fronte a loro, c’è una persona ben più grande e con una ben maggiore esperienza, lo trovo oltremodo irragionevole e preoccupante: non venitemi a dire che “io non comprendo le nuove generazioni” solo perché ho il doppio dei loro anni, perché sono stato giovane anche io e lo sono stato proprio nell’epoca del “boom Social”, delle prime videochiamate, delle prime chat, dei primi messaggi scambiati attraverso un PC (ma forse dovrei citare i cari, vecchi, SMS a quindici centesimi l’uno, altro che WhatsApp!), e vi posso assicurare che non si ragionava certo in questo modo!
Avere a che fare con ragazzini irosi e quantomeno ineducati, che pensano di avere il mondo in mano solo perché “loro hanno i retweet e i tweet in tendenza su Twitter”, piuttosto che “perché hanno preso 2500 cuori su Instagram per la foto al mare”, mi mette un reale senso di “svilenza” generale – passatemi il termine per quanto curioso sia – che mi da tanto da riflettere sulla situazione attuale, soprattutto quando ti ritrovi un soldo di cacio appena entrato alle superiori che ti si mette “a tu per tu” a viso aperto, quasi sfidandoti, quasi prendendosi gioco di te.
Chiaramente, visto che di questi “fenomeni” ne ho incontrati e ne incontro a chili, non spreco mai troppo del mio tempo con costoro, che – come accaduto a tutti – dovranno ben presto fare i conti con la vita vera, e con l’effimero successo dei Social, in cui un giorno sei in alto, e in un altro sei carta da riciclo gettata in fondo ad un cestino, ed è esattamente lì che si vede la differenza tra un professionista, adulto, formato, ed un giovane che si ritrova a dover fronteggiare la distruzione di quell’etereo equilibrio che si è creato con tanta difficoltà, convinto che quello sia il mondo vero, che quello ti porti ad essere importante, conosciuto, famoso, citato ovunque, e – perché no? – che magari ti porti nel meraviglioso mondo fatato della televisione e del successo nazionale, proprio anche sul Web, magari anche con una bella spunta blu sul profilo Social di turno, proprio a dimostrare quella tua importanza, quel tuo successo, quel tuo grande traguardo. Tutto bellissimo, ma terribilmente lontano dalla vita di tutti i giorni.
Sia chiaro, non impossibile: tanti giovani ce l’hanno fatta, e penso a Youtuber tipo Yotobi, Marco Arata, Gli Autogol, Maurizio Merluzzo (e se non avete capito niente, chiedete ai vostri figli o ai vostri nipoti!), che sono riusciti, realmente, a costruire quel loro “piccolo impero” fatto di successi e fan che seguono ogni loro creazione online, ma con tanto sudore, fatica e, di fatto, facendone un lavoro. Si, perché non immaginiate di diventare milionari pubblicando uno, due video quando vi pare. No: diventare “ricchi”, rigorosamente tra virgolette, facendo gli Youtuber rappresenta un vero e proprio mestiere, dal momento che – per chi non lo sapesse – il guadagno realizzato tramite i video di YouTube si ottiene dalla somma che corrisponde a quanto gli sponsor paghino affinché Youtube trasmetta i loro spot ogni 1000 video visualizzati e può arrivare anche a 7 euro lordi. In pratica, per calcolare il guadagno di un video che ospita pubblicità, basta dividere per 1000 le visualizzazioni e moltiplicare quella cifra per 7 Euro. Siete davvero sicuri di riuscire, fin da subito, a portarvi a casa cifre utili a permettervi di vivere degnamente? E quando Youtube, per un qualsiasi motivo, decide di demonetizzare i vostri video, quindi di non permettervi di guadagnare, cosa farete? Tornerete a chiedere la paghetta a mammà?
Insomma, lo ribadisco. È possibilissimo, per carità, ma qualcuno dica a quei due giovanotti che, qualche giorno fa, sono venuti a dare a me lezioni di “entrate pubblicitarie su YouTube” (e adoro il fatto che era stupendo ascoltarli raccontare con quella passione tipica della giovinezza, tipica di chi è convinto di sapere tutto di tutti… Ci siamo passati un po’ tutti!), che, mentre li ascoltavo, nella mia mente riecheggiava una frase di Margherita Hack che qualcuno, tanti anni fa mi disse, e che ricordo ancora alla perfezione: “Solo chi sa cos’è la vera modestia mette la sua sete di conoscenza davanti a stupidaggini come il titolo e gli allori.”.
Prima o poi, cari giovani che vivete di views, cuori e retweet, comprenderete che la vita vera è un’altra, e non è certo quella che il progresso intende propinarvi, non è certo quella che questo maledetto periodo vi sta offrendo, con la sua virtualità imperante. Cercate di riflettere dieci volte prima di dire ad una persona che “non è nessuno” solo perché non ha “i retweet” o “le views” che tanto basilari sono per voi, anche perché, di fronte, potreste avere qualcuno che, semplicemente, ha una vita vera dietro il PC, e magari, semplicemente, se ne frega di tutta questa superficialità a voi tanto cara!
E adesso scusate: ora che ho finito la mia lista di “stolitanze”, devo vestirmi ed andare ad osservare i cantieri qui vicino, rigorosamente con le braccia dietro la schiena. Da buon boomer, non posso certo smentirmi!