All’Istituto Gonzaga il convegno-dibattito “Le donne musulmane e gli altri migranti. Realtà, prospettive e testimonianze”, durante il quale si è discusso sulla condizione delle donne musulmane e di tutti gli altri migranti a Palermo e sono state proposte alcune possibili soluzioni per risolvere i problemi che incontrano durante l’integrazione nella nostra città e nel Paese.
Grazie alle associazioni “Prima gli ultimi. Nessuno è straniero”, “Le donne musulmane Fatima” e “Di Sana Pianta”, sono stati analizzati disagi e problemi che queste persone incontrano nella vita quotidiana. In particolare sono emerse due emergenze principali: quella della casa e del lavoro. Una volta divenuti maggiorenni infatti, ragazzi e ragazze vengono messi fuori dalle strutture di accoglienza e abbandonati a sé stessi con grandi problemi da affrontare. Nessuno o quasi vuole affittargli una casa e non trovano lavoro, se non in nero e sottopagato e l’assenza di un contratto di affitto e di lavoro causa loro altri grossi problemi, come ad esempio il mancato rinnovo del permesso di soggiorno, costringendoli ad essere una presenza illegale nella nostra comunità.
Durante il convegno è stato inoltre proiettato il docufilm del giornalista Rino Canzoneri, con regia di Rosario Neri e prodotto dalle tre associazioni, che riporta storie di migranti e delle persone che li hanno accolti, ma anche purtroppo testimonianze di ingiustificate discriminazioni. “Vogliamo mettere in evidenza i problemi che incontrano questi migranti e vogliamo avere delle risposte da parte delle istituzioni” dichiara Canzoneri.
Ma il fulcro del convegno è la donna musulmana e a raccontarci la sua esperienza qua a Palermo è Emna, una donna tunisina, che seppur laureata, con anni di esperienza e come se non bastasse sposata con un palermitano, non riesce a trovare un lavoro per via del velo che indossa. “Mi chiedono di levare il velo al colloquio di lavoro o addirittura mi respingono al telefono appena sentono che sono tunisina”, racconta. “Ma il velo è la mia identità, non mi ha costretto nessuno a indossarlo, è una mia scelta. E l’Islam non è una religione di terroristi come pensano molti sbagliando”, dichiara.
Questo fenomeno prende il nome di Islamofobia, un tema spesso tralasciato, una forma di discriminazione che colpisce sicuramente più le donne musulmane che gli uomini, in particolare quelle velate. Queste conducono una vita simile a tutte le altre donne, eppure la caratteristica che viene loro attribuita è l’appartenenza religiosa come se fosse l’unica dimensione del loro vivere. Se è vero che l’Islam è una fede, uno stile di vita, una religione caratterizzata da prassi precise e da una quotidianità scandita da pratiche e comportamenti, è anche vero che ciò non esaurisce la vita delle donne musulmane, che hanno anche altri scopi nella vita, come studiare e lavorare, avere una famiglia e fare crescere i loro figli nel miglior modo possibile.
Le donne velate in particolare subiscono in Italia le conseguenze di un clima ostile e diffidente nei confronti dell’Islam, per questo sono le più colpite da discriminazioni che a volte per una donna si presentano multiple: legate al genere, alla provenienza geografica, alla lingua e al colore della pelle, oltre che alla religione. In realtà però, la maggior parte delle donne in Italia indossa il velo per scelta, eppure questo simbolo religioso viene erroneamente visto come un atto di sottomissione all’uomo e parte di una religione che viene considerata a priori misogina e violenta. Ma non è così: il velo è una scelta e come tale si può scegliere di indossarlo o meno.
Emna pensa inoltre che “nel 2022 non dovrebbero esistere più discriminazioni in base alla propria religione o colore della pelle. Cerchiamo tutti la pace, lottiamo tutti per la pace, noi donne musulmane vogliamo la pace e vogliamo poter essere accettate”, conclude, facendosi portavoce di tutte le donne che, come lei, dicono basta ad ogni forma di discriminazione e di pregiudizio.
Anche Maria Elena Poderati, vicedirettrice del Gonzaga Campus, racconta la sua esperienza come mamma di un bambino migrante, un’esperienza di accoglienza che “ha cambiato veramente la mia vita, portando gioia non solo nella mia famiglia ma anche nella comunità”, afferma. “Sicuramente c’è ancora tanto bisogno di parlare di inclusione, accoglienza e diversità”, conclude.
Infine Michela Bongiorno, dell’Ufficio Speciale Immigrazione della Regione Siciliana, ci parla della legge per l’accoglienza e l’inclusione, sottolineando che “si parla di inclusione e non integrazione, perché è importante rispettare ed accogliere nella comunità, non semplicemente assorbire.”