L’unica cosa positiva che è emersa dal summit del G7 a Taormina è stata l’efficienza mostrata dall’Italia in termini di accoglienza, di logistica e di sicurezza. Per il resto dal punto di vista dei risultati il vertice è stato un totale fallimento, nonostante gli sforzi dialettici del nostro presidente del consiglio di valorizzare qualche elemento positivo. Il vertice tuttavia è stato importante per le conseguenze politiche che, a mio avviso, sono di portata storica perché disegnano una realtà mondiale completamente diversa da quella che finora abbiamo conosciuto: un mondo più articolato, un ritorno allo Stato Nazione, alle barriere, al protezionismo.
In questo il presidente americano è stato coerente con il suo programma elettorale e gli europei si sono mostrati impreparati a fronteggiare queste scelte. Esso segna la fine del mono centrismo, quello americano, dopo la fine del dualismo Usa Urss, con il crollo del comunismo e l’affermarsi di un policentrismo che esalta il ruolo dei grandi assenti del vertice: Cina e Russia. Queste due super potenze, insieme agli USA, hanno tutto l’interesse ad avere una Europa indebolita per ricavarne un vantaggio sul piano politico, economico, commerciale e militare. Lo ha capito il giorno dopo la cancelliera Angela Merkel che, senza giri di parole, ha detto che “Noi europei dobbiamo veramente prendere il destino nelle nostre mani, dobbiamo lottare per il nostro destino -ha aggiunto– sono finiti i tempi in cui potevamo fidarci gli uni degli altri”.
Parole forti che, tuttavia, dovrebbero essere accompagnate da due considerazioni. In primo luogo un’autocritica sul modo come l’Europa si è mossa sulle grandi questioni sociali, privilegiando gli aspetti monetari, finanziari ed economici, sacrificando i paesi più deboli lasciati soli, peraltro, a fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione, già alle prese con i loro problemi interni come il lavoro e l’aumento delle povertà. Tutto questo ha contribuito ad allontanare dalla coscienza della gente, dal sentimento popolare, il grande sogno di costruire la Nazione Europea. Forse un sogno, ma in grado, come fu all’inizio, di suscitare entusiasmo e passione soprattutto fra le nuove generazioni. Oggi solo una minoranza vive positivamente l’Europa, ma per fortuna la maggioranza, anche chi non ha ricevuto benefici, continua a credere a questa prospettiva.
Nel frattempo però crescono i nazionalismi, i protezionismi, i populismi che oggi trovano a livello mondiale un riferimento in Donald Trump. Le posizioni protezionistiche e isolazionistiche non hanno futuro dal momento che la rivoluzione tecnologica ha verminato una situazione inarrestabile di interdipendenza tra sistemi sociali e contesti economici in un continuo abbattimento di barriere. Lo ha capito la Cina, che sta attuando un vasto programma di penetrazione economica in Africa, cosa che avrebbe dovuto fare l’Europa. E’ curioso, infatti, vedere come la manifestazione dei NO Global sia stata in perfetta sintonia con le posizioni di Trump.
Tuttavia, se come europei non rifiutiamo la globalizzazione per la spinta alla crescita e allo sviluppo, tuttavia oggi dobbiamo lavorare per costruire un sistema di relazioni e di regole in cui la globalizzazione si estenda ai diritti civili, alla riduzione delle diseguaglianze, alla salvaguardia dell’identità culturale dei popoli. Infine il Mediterraneo, grande assente del vertice e che oggi può rappresentare per l’Europa il banco di prova per il suo futuro, il terreno su misurare la sua funzione nello scacchiere mondiale. L’emarginazione di quest’area, su cui si sono innescati conflitti sanguinari, fanatismi religiosi, terrorismo che hanno dato vita ad un fenomeno migratorio mai conosciuto, ricade negativamente essenzialmente sull’Europa.
Anche su questo vi è una responsabilità della Germania che, interessata ai nuovi mercati che si aprivano con l’ingresso nell’Unione Europea dei paesi dell’ex blocco comunista spostò il baricentro dell’interesse economico e dell’impegno finanziario verso quest’area a discapito dell’area mediterranea. E anche gli Usa, sotto la guida dei democratici, mostrarono più interesse verso l’area del sud est asiatico che verso il mediterraneo, preoccupati dall’estendersi dell’influenza cinese.
Si spiega cosi come non vi sia stato un impegno serio per pacificare l’area. Al contrario si è continuato a destabilizzarla per interessi nazionali, vedi la Francia di Sarkozy, e così sono aumentate le guerre, le persecuzioni che hanno provocato fame, povertà disperazione e quindi anche le tragedie in mare dei tanti disperati, che non ci sarà mai legge o barriere in grado di bloccare la legittima aspirazione di migliorare le condizioni di vita e assicurare un futuro ai propri figli. Alla vigilia del vertice la Fondazione Il Mediterraneo, sulle colonne di questo giornale, lanciò la proposta di un nuovo Piano Marshall per il Mediterraneo, un progetto che nonostante non abbia avuto gli effetti sperati, mantiene la sua validità, a maggior ragione, alla luce delle conclusioni del vertice, va rilanciato e che l’Europa dovrebbe intestarsi.
E il discorso torna alla Sicilia che può essere chiamata a svolgere un ruolo essenziale nel rapporto tra Nord Africa ed Europa, offrendo alla nostra isola l’opportunità di diventare un ponte da e per l’Europa.
La Regione, tranne qualche lodevole tentativo negli anni novanta, è stata la grande assente per responsabilità di una classe politica che non ha saputo o voluto mettere in atto le prerogative dello Statuto siciliano che potrebbe invece dare un notevole contributo a costruire una politica europea che guardi al futuro di quest’area.
Le proiezioni demografiche di qualche anno fa elaborate dall’ONU ci dicevano che nel 2025 la popolazione globale dei paesi del mediterraneo passerà dagli attuali 229 milioni a 331 milioni di abitanti.
Più di 100 milioni di persone, in gran parte giovani, sotto i 25 anni che non trovando alcuna prospettiva o inserimento nel loro paese saranno spinti ad emigrare a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. Senza una politica di grande respiro e progetti di inserimento come dovrebbe prevedere il piano, che per comodità chiamiamo Marshall, nessuno potrà prevedere le conseguenze e gli squilibri sociali che si determineranno. E’ questa dunque la grande scommessa su cui l’Europa deve misurarsi: fare del Mediterraneo una zona di pace, di dialogo e di cooperazione che produca libertà e prosperità. Solo così si potranno tagliare le radici del terrorismo assicurare un futuro a questa parte del mondo che finora ha conosciuto solo guerre, lacerazioni, persecuzioni e sofferenze.
I benefici per l’Europa saranno immensi. Perché non lavorare alla realizzazione di una conferenza di tutte le forze progressiste e riformiste del mediterraneo per cominciare a gettare le basi, sotto l’egida dell’Europa, di questo grande progetto?