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Ieri sera, 10 maggio, in anteprima per la prossima stagione, al Teatro alla Guilla di Palermo è andato in scena E muriu u cani, di Giada Baiamonte e con l’aiuto regia di Viviana Lombardo. In attesa della nuova stagione, andrà in replica stasera 11 maggio, nuovamente al Teatro alla Guilla, alle 21.
A pochi passi dalla Cattedrale, in uno spazio semplice e schietto, forse un po’ sacrificato, si alza il sipario sul padre defunto di cinque figli che volenti o nolenti sono costretti a riunirsi per trascorrere un’ultima notte con lui. Si comincia con toni formali, quasi da repertorio, sintomo di una perfetta estraneità tra i fratelli. In un crescendo dolce-amaro, a tratti ironico, la veglia diventa l’autentico pretesto per raccontarsi, confrontarsi, confessare l’inconfessabile, sputandosi addosso le parole più crude.
Uno spettacolo che nasce dalla voglia di mettersi in gioco ed esporsi, e che la regista ha definito “coraggioso”, come “coraggioso” è il pubblico rimasto fino alla fine. E muriu u cani è un pugno nello stomaco, invita a prendere posto con la scusa del caffè, con un profumo che da sempre sa di casa e condivisione; ma al contempo quello stesso invito diventa schiaffo amorale, portatore sano di inquietudine, dolore.
“Ed è il dolore che ci porta ad essere simili”, aggiunge la stessa Giada Baiamonte. “Quello che comunichiamo è la vera intimità. Noi accogliamo il pubblico dentro casa nostra, e qui ci spogliamo anche dei nostri abiti più scomodi, e alla fine restiamo tutti senza maschera”.
Nel vegliare un’usanza che prima o poi tutti dobbiamo rispettare – la morte – si fa spazio una sofferenza nutrita dall’ignoranza, dall’abuso, dalla stupidità, dalla frustrazione, dalla paura, che dopo una vita al buio, abbatte tutte le barriere, e diventa luce. Quando la necessità costringe i protagonisti a usare le parole più nude e sincere, cade finalmente la maschera e si vede l’uomo.
Si vede quindi la vera essenza di Maria, Rosa, Margherita, Totò e Giuseppe (rispettivamente, Fabiola Arculeo, Marzia Coniglio, Giada Baiamonte, Salvatore Lorenzini e Domenico Bravo), che insieme con concretezza diventano uno sguardo all’antica di una Palermo sempre attuale.
“Essere all’antica talvolta viene visto come un difetto, come una chiusura ancora oggi la veglia continua ad essere ‘praticata’ in alcune case palermitane. La morte è sempre quotidiana, ed è l’unica cosa certa che abbiamo”.
“Il fatto che ci sia un rito su questa cosa certa, io lo trovo in qualche modo poetico, e spero non venga perso. E muriu u cani mantiene un tipo di linguaggio che ancora esiste, è un palermitano parlato dai miei nonni, anch’esso poetico. In questo senso – conclude l’autrice – sono fiera di essere all’antica”.