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Tra vecchia e nuova mafia, “Tua sorella si è fatta sbirra”, “Mi devo consumare io che ho trent’anni? Consumati tu”

giovedì 2 Novembre 2017

La storia del capomafia di Bagheria, Giuseppe Scaduto, che aveva ordinato l’assassinio della propria figlia, come emerso dalle intercettazioni svolte nell’ambito dell’operazione antimafia “Perseo”, promossa dai carabinieri e culminata con sedici arresti, ha avuto larga eco nell’opinione pubblica.

Ne ha parlato la stampa nazionale e ovviamente quella siciliana. il Sicilia.it sull’argomento ha anche ascoltato l’opinione del ministro Angelino Alfano.

Per il capomafia la figlia, rappresentava una vergogna per la “ famiglia”, avendone macchiato in modo indelebile l’onore per i suoi comportamenti e di volere vivere la propria vita in piena libertà. E cosa ancora più grave aveva intrecciato una relazione con un maresciallo dei carabinieri con il sospetto che gli avesse passato informazioni: “Tua sorella si è fatta sbirra“.

Il clamore suscitato pare che abbia costretto il capomafia a un tentativo, in verità non convincente, di ridimensionare la vicenda trasformando l’assassinio in una “fracchiata di legnate”. L’intercettazione riportata, però, lascerebbe alcun margine di dubbio.

Il fatto sconvolgente e sorprendente è stata la risposta del figlio a cui il padre aveva commissionato l’omicidio della sorella: “no io non lo faccio, il padre sei tu e lo fai tu, mi devo consumare io che ho trent’anni? Consumati tu“.

Da questa risposta molti commentatori hanno tratto la convinzione che questa disubbidienza mostrasse uno scompaginamento della struttura di Cosa Nostra, attraverso il rifiuto di trasgredire ad una regola ferrea dell’organizzazione criminale.

E’ stato, pertanto, opportuno sottolineare questo atto di rottura, significativo certamente, ma non tale da presentarlo, come qualcuno ha fatto, come un atto di emancipazione. Siamo, invece alla presenza di un atto di disubbidienza, ma che non rappresenta alcun distacco e rifiuto dall’organizzazione e dalla subcultura mafiosa.

Il rifiuto del figlio, infatti, non mostra alcuna ripulsa morale per l’orrenda proposta del genitore. Implicitamente la ammette e la condivide, ma la rifiuta solo per l’interesse personale di non essere coinvolto in un crimine che lo avrebbe segnato per tutta la vita, poiché la prospettiva sarebbe stata sicuramente il carcere a vita.

Manifesta, paradossalmente, un piccolo briciolo di umanità il Killer, contattato da parte del padre dopo il suo rifiuto che, nel motivare anch’egli la sua indisponibilità (anche questa una novità) ad eseguire l’omicidio, si lascia andare a questa considerazione “Sua figlia ha sbagliato o l’ha indovinata ma non è sempre sua figlia?”.

La storia della mafia è costellata da queste atrocità e la novità sta nel fatto che questa volta non sono state portate a compimento, come purtroppo è avvenuto nel passato.

E’ ancora vivo il ricordo di Lia Pipitone uccisa nel settembre del 1983 da due killer su ordine del padre, boss del quartiere Arenella, anch’essa colpevole di avere disonorato la famiglia avendo rotto ogni legame con quell’ambiente e affermato il suo desiderio di libertà e di indipendenza, fuggendo da casa e sposando un compagno di scuola.

Costretta a tornare a Palermo aveva mantenuto la sua indipendenza, ma per il padre mafioso il chiacchericcio nel quartiere sul sospetto che avesse allacciato una relazione extraconiugale non era più tollerabile.

I Killer per eliminarla inscenarono una finta rapina in un negozio di sanitari in cui la ragazza era entrata per telefonare, sfociata in una sparatoria che aveva come bersaglio proprio Lia Pipitone.

La verità è emersa in seguito grazie alle rivelazioni del pentito Francesco Di Carlo e all’inchiesta minuziosamente ricostruita e documentata nel bel libro “Se muoio sopravvivimi” da Salvo Palazzolo, con l’aiuto del figlio di Lia, Alessio Cordaro.

Un po’ più lontana nel tempo ma non per questo meno atroce e significativa fu la decisione del mafioso di Canicattì, Giuseppe Di Bella, di far uccidere il proprio figlio perché comunista. Un omicidio che meriterebbe di essere ricordato e commemorato. Per la mafia, soprattutto in quel momento storico, i comunisti erano equiparati agli sbirri, dal momento che erano l’unica forza politica che attraverso denunce, manifestazioni e iniziative scoperchiava gli affari, le connivenze e i crimini di Cosa Nostra, quando ancora l’antimafia non era diventata di moda.

Quel ragazzo doveva essere punito in modo esemplare, anche perché sospettato di aiutare le forze dell’ordine nella conoscenza degli intrighi di Cosa Nostra. E’ lo stesso Killer che si confida con il boss catanese Antonino Calderone, in seguito importante collaboratore di giustizia, raccontandone anche i dettagli e aggiungendo in modo raccapricciante di avere provato gusto ad ammazzare quel ragazzo, quel comunista: “Sì, mi disse proprio così – dirà Calderone- l’ho ucciso di buon grado”.

Ricordare questi episodi, alla luce anche di ciò che è accaduto a Bagheria, è utile anche al fine di demistificare un luogo comune, ancora presente in alcune aree di sub cultura e di marginalità sociale, di una vecchia mafia rispettosa di un proprio codice che aveva il senso dell’onore e della giustizia, un consesso da “gran bontade dei cavalieri antiqui”, da ricordare quasi con rimpianto e da contrapporre a una nuova mafia un’associazione sanguinaria, che ripudia qualsiasi etica, priva di qualsiasi vincolo d’onore. Una mafia cattiva da contrapporre a una, alla fin fine buona, che aveva rispetto per le donne e i bambini.

Nulla di più falso e mistificante. La mafia certamente ha subito mutamenti in relazione al contesto sociale ed economico in cui si trova ad operare ma ruolo, strumenti, metodi e disvalori sono rimasi invariati.

Perciò è sempre bene ricordare insieme ai martiri a noi più vicini nel tempo, giudici, politici, magistrati, sacerdoti, imprenditori, ricordare quei braccanti quei contadini, quei sindacalisti, quegli operai che da Portella delle ginestre hanno combattuto la mafia a prezzo della propria vita.

Attraverso la ricerca curata a iniziativa di una scuola palermitana, la Borgese-XXVII maggio, è emerso che ben 108 bambini sono stati trucidati dalla mafia, da Emanuela Sansone, una ragazza uccisa in via Sampolo nel dicembre del 1896, fino all’ultima bambina ammazzata nel grembo materno, quindi prima ancora che vedesse la luce, quando la propria madre fu assassinata insieme al marito, l’agente Antonio Agostino nell’agosto del 1989.

A questa mistificazione ha in parte contributo Tommaso Buscetta, il primo importante pentito di mafia che ruppe con Cosa Nostra e che con le sue dichiarazioni e rivelazioni al giudice Giovanni Falcone consentì di istruire il famoso Maxi Processo da cui è iniziata la grande controffensiva dello Stato nei confronti di Cosa Nostra e ha consentito all’Italia intera di prendere consapevolezza del pericolo che la mafia rappresenta per la democrazia e le libertà del Paese.

Buscetta, tuttavia, per giustificare e anche spiegare la sua adesione perfino ideologica a Cosa Nostra descrive la mafia, da lui conosciuta e amata, come un’associazione giusta che rispettava un determinato codice d’onore, dispensava aiuti e consigli a chi aveva bisogno, una sorta di società di mutuo soccorso. Una realtà idilliaca che viene distrutta nel momento in cui s’impadroniscono del comando di Cosa Nostra i corleonesi di Totò Riina che la trasformano in un’associazione sanguinaria, gestita con ferocia, priva di ogni scrupolo e vincolo morale, completamente diversa dalla sua Cosa Nostra.

Le dichiarazioni di Buscetta, al tempo stesso, hanno avuto il merito di lanciare un messaggio anche a quelli che, pur non essendo mafiosi, avevano questa stessa opinione della vecchia mafia e che ora, lo diceva un ex mafioso del calibro di Buscetta, non esisteva più e che bisognava combattere quella che non era più la vera Cosa Nostra.

Noi, però, abbiamo il dover di ricordare sempre che non vi è alcuna distinzione tra vecchia e nuova mafia, che ha sempre avuto lo stesso volto e rappresenta sempre il principale ostacolo allo sviluppo, alla crescita civile e democratica della società, il principale nemico della libertà e della dignità umana.

Per dirla con Peppino Impastato la mafia è sempre stata e continua ad essere semplicemente ” una montagna di merda” da cui dobbiamo liberarci.

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