A distanza di cinque anni dall’elezione di Rosario Crocetta, i siciliani tornano sul ‘luogo del delitto’, testimoni e complici allo stesso tempo, andando al voto per eleggere il suo successore.
La Sicilia è un’isola che ama godersi da sé scriveva un autore madonita amato da Leonardo Sciascia, vuole essere preda e non ama le conquiste durature.
La giostra di colori, di link e di scatole cinesi pronte ad aprirsi sui whatsapp e le chat saccheggiate degli elettori hanno rappresentato la principale algebra dei comunicatori e delle segreterie politiche dei nostri giorni. Dallo ‘skype corner’ per parlare direttamente con il candidato, che venne adottato dai 5stelle già nelle scorse elezioni, alle pagine social che nessuno ha pensato di farsi mancare.
Ecco perché quando Beppe Grillo è arrivato nelle piazze e nelle borgate di Catania e Palermo nei giorni scorsi, a sentire il termometro della piazza, è parso quasi innaturale che la politica scendesse con i suoi protagonisti in mezzo alla gente.
Per fortuna, a dare sfogo e libertà alla piazza virtuale di facebook e twitter, è arrivato ieri il confronto televisivo da Lucia Annunziata, che in parte ha deluso chi voleva vedere ‘la rissa’ tra gli antagonisti a Palazzo d’Orleans. S’è visto poco e ancora una volta sono rimasti fuori i grandi temi della campagna elettorale 2017.
Rispetto a 5 anni fa questa è stata la campagna elettorale dei sondaggi. Un terreno molto più battuto e praticato, quasi a volere esorcizzare quella scarsa consistenza dei partiti che ieri amministravano le scelte dei territori e oggi sono ospiti spesso poco graditi, o intrusi che rischiano di sbattere sul muro del quorum del 5%.
La campagna elettorale di 5 anni fa fu celebrata all’insegna di termini come ‘criptochecche’, totem delle discussioni ‘calde’ come quella sui i termovalorizzatori, scontri tra Musumeci e Crocetta che ebbero strascichi e querele da tribunale, ma alla fine la gente scelse all’interno di un quadro più ragionato. A fare la differenza furono alcuni territori come quello messinese e una parte della Sicilia orientale.
Cinque anni fa, al di là dell’esito della vittoria, Crocetta fu il fattore di novità di una campagna elettorale più cirostanziata e meno atipica. Delineata in senso tradizionale con un epilogo quasi matematicamente dato dalla spaccatura del centrodestra.
Oggi, al di là del fatto che il centrosinistra rischia di fare in un’unica soluzione primarie sul campo e messaggio nella bottiglia per una stagione di renzismo crepuscolare, le indicazioni che si chiedono al responso delle urne sono chiare e specifiche. Occorrerà capire infatti se il M5s potrà essere una forza di governo per la Sicilia, o se in alternativa a Musumeci sarà bastato il suo passato di spendibilità per garantire il governo della Sicilia.
Inoltre partiti come Alternativa Popolare con Alfano, Sicilia Futura, Fratelli d’Italia, nello schieramento con Salvini e Parisi resteranno a galla? O saranno bocciati rimanendo sotto soglia? E ancora più in dettaglio, la stagione del centrismo post democristiano, che molti, Musumeci per primo, vorrebbero disinnescare, “decufarizzandolo”, sarà un affidabile elemento di sostegno all’interno del perimetro delle coalizioni fluttuanti che potrebbero segnare la prossima legislatura?
Non è solo un problema di nomi, sigle o di sapere quali saranno i 70 parlamentari dell’ARS. Rimane da capire quale voto nell’Isola avrà fatto la differenza. Quale orientamento prevarrà e su che tendenza a identificare i nuovi protagonisti da parte dello sguarnito popolo elettorale che domenica si reca al voto.
L’unico che sicuramente mancherà all’appello dunque è Rosario Crocetta, sconfitto dalle contraddizioni che non ha potuto gestire e dalle scelte nevrotiche e spesso contraddittorie del Pd, che con grande armonia adesso si prepara a 5 anni di opposizione.