«Arrivando nella strada dove abitava Paolo Borsellino vidi questo fumo nero. Andai verso l’incendio perché ho capito che il cuore del problema stava lì. Mi capitò di inciampare anche su resti umani, una scena apocalittica. Alla fine mi ritrovai davanti all’auto blindata del dottor Borsellino ma senza sapere che fosse la sua». A raccontare quello che accadde il 19 luglio 1992, è il giornalista del Corriere della Sera Felice Cavallaro, chiamato a deporre lunedì scorso, come teste di parte civile nell’ambito del processo sul depistaggio nella Strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta.
«Poi intravidi il dottor Giuseppe Ayala vicino alla macchina di Borsellino. Lui era già lì – ha continuato il giornalista rispondendo all’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino e dei figli di Adele, sorella del magistrato – perché abitava vicino al luogo della strage. Entrambi eravamo vicini alla macchina che era con la portiera posteriore lato guida spalancata. Un giovane delle forze dell’ordine, in borghese, prese la borsa che si trovava sul pianale, tra il sedile anteriore e il divano posteriore, e provò a porgermela perché forse pensava che fossi uno della scorta di Ayala o un agente. Sfiorai il manico della borsa… La cosa era stupefacente, perché a nessun titolo potevo prenderla».
«Guardai Ayala, che quasi invitò l’agente con gli occhi a darla a lui. Ma poi arrivò un ufficiale dei carabinieri in divisa e il mio ricordo è che Ayala gli fece dare la borsa o gliela diede lui stesso. Escludo che si trattasse del capitano Arcangioli (finito sotto indagine e poi assolto, ndr), la cui immagine con la borsa in mano ho rivisto molti anni dopo i fatti. Se avessi saputo che in quella borsa c’era l’agenda rossa avrei fatto lo scoop della mia vita».
Nel processo sono imputati, per il reato di calunnia aggravata, tre appartenenti alla Polizia di Stato: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, allora nel gruppo investigativo “Falcone-Borsellino”, accusati di aver depistato le indagini sulla strage di Via D’Amelio attraverso l’indottrinamento” del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Alla domanda dell’Avv. Repici se si fosse confrontato con Ayala sul tema dell’agenda rossa, Cavallaro ha risposto: «Sì, ne abbiamo parlato non appena è venuta fuori la notizia. Alla prima occasione in cui ci siamo visti certamente abbiamo parlato, abbiamo evocato quel momento. Io soprattutto a dire: “Ma porca miseria, avevo la borsa in mano…” avremmo potuto comunque dare una diversa svolta a tutta questa storia; invece siamo diventati protagonisti ignari di un fatto che c’ha travolto».
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