“Ci a misiru ‘nto cafè”, si usa dire così quando si ha davanti una coppia che, ingiustificatamente almeno a parer di popolo, sta insieme.
Giuseppe Carleo, giovane regista palermitano dallo sguardo molto attento a cogliere quelle storie che non vedi l’ora di raccontare, è partito da questa frase per approfondire lo studio delle “fatture d’amore“, fenomeno composto sì di tradizione e cultura, ma anche di storia, per certi versi, quotidianamente riscritta.
Il risultato di questo lavoro sarà il cortometraggio “Parru pi tìa“, un lavoro di introspezione, delicato e incisivo, che permetterà di comprendere il carattere universale delle tradizioni, delle innovazioni e dei contrasti che popolano la Sicilia.
La campagna di crowdfunding
Per realizzare il corto in questi giorni è stata lanciata una campagna di crowdfunding su Indiegogo, nella quale approfondire tutte le informazioni sul progetto e sostenerlo.
Nell’ottica della condivisone, contribuire alla sua realizzazione significherà prendere parte al rito: l’intera campagna, infatti, sarà un viaggio, tra i volti e le voci del sud Italia, alla scoperta dei pensieri e delle opinioni di chi questa pratica la conosce e l’ha vissuta.
Riti dalla Sicilia profonda
“Ti rugnu lu sangu ri li me vini, m’ha durari finu alla fini, ti rugnu u sangu di li me ossa, m’ha duradi finu a la fossa, ti rugnu u sangu di lu me cugnu, m’ha durari insinu ca rura lu munnu“.
Con questa formula la nonna di Annachiara, uno dei personaggi di “Parru pi tìa”, cercherà di alleviare le pene d’amore della giovane, che non si rassegna all’abbandono del fidanzato e, come ultima possibilità, ricorre alla magia.
“Chiarù vero lo vuoi fare?”
“Si si, dai… Lo facciamo?”
Basta qualche parola e uno sguardo d’intesa per decidere di mettere in pratica ciò che, forse, cambierà per sempre la vita di più persone.
Una miscela particolare fatta con il caffè, unitamente al potere delle mani che compiono la mistura: è tutto qui il segreto di uno dei più antichi riti di magia popolare siciliana che, incredibilmente, tutt’oggi viene richiesto e messo in pratica.
La superstizione, infatti, forza e debolezza al tempo stesso, se nel passato sembrava annidarsi nella cultura di un particolare ceto, oggi, come accertato dallo stesso regista, sembra stendere il passo, trasversalmente, nell’intero tessuto sociale.
Insomma, a dispetto di sviluppo e progresso, ancora nel terzo millennio, in più parti della Sicilia, uno dei tentativi nel cercare di risolvere gli intoppi d’amore risiede nella pratica della legatura.
“Non sorprende che il fenomeno sia ancora presente e che abbia ampliato lo spettro di riferimento sociale – ci ha detto a tal proposito Francesco Di Nuovo – psichiatra e psicoanalista junghiano -. Esso è, infatti, in termini enantiodromici un risvolto del mito dell’autonomia e dell’indipendenza; la cultura contemporanea celebra fortemente l’indipendenza e l’autosufficienza della donna, sul piano razionale, nutrendo di contro, sul piano irrazionale, il polo archetipico opposto che spinge a ricercare un legame eterno con l’altro che ci sfugge. Tutto ciò alligna nelle fasce sociali alte in cui l’aspetto intellettualistico reprime quello archetipico. Il rito, dunque, appare come un momento di contenimento, toglie l’angoscia dell’abbandono”.