Carissimi
Che cosa è la consuetudine? Perché in un’epoca di “talent” chiunque si cimenti in un mestiere anche con consuetudine si definisce un artista, a volte ricorrendo alla tradizione per giustificare la consuetudine e quindi millantare il titolo di artista e/o professionista?
Pertanto, lungi da me dal fare una lezione linguistica (non è il mio mestiere), mi piace approfittare di questi nostri appuntamenti per chiarire determinati punti di vista sull’uso improprio dei termini al giorno d’oggi, per fissare dei paletti di riferimento nel nostro comune intendere.
Ad esempio, se facciamo una ricerca nei vocabolari “ca sinni sientinu” alla parola “consuetudine” troviamo questo significato:
“La consuetudine, in italiano, significa abitudine, usanza, tradizione o costume” e in più (attenzione) può riferirsi sia a un comportamento individuale consolidato, sia a pratiche sociali diffuse. La consuetudine è un elemento fondamentale nella formazione della cultura e delle norme sociali.
Assodato ciò esistono i ruoli in questa nostra società, l’individuo a volte usa “autodefinirsi” il più delle volte sono gli altri che lo “definiscono” anche solo dopo un esame superficiale o ancor peggio per sentito dire.
Per volare basso e semplificare il concetto, attenziono una persona che calca una pedana per recitare, o suona uno strumento musicale, o scrive non solo il suo diario personale, o addirittura tiene i pennelli in mano e alla nostra domanda: “Scusi ma lei cosa fa nella vita?” La risposta scontata (da parte loro) è: “l’artista”.
Ormai sono tutti “artisti”, tutti suonano, tutti scrivono libri. Non c’è da meravigliarsi poiché costoro magari per consuetudine mettono a disposizione questo talento che hanno (più o meno grande) per vivere/sopravvivere, associandolo il più delle volte ad un impiego o un reddito di sostentamento.
Ma quanto per loro è arte, professione o mestiere?
Accettata così questa risposta, in una unica classificazione, “artista”, noi faremmo di tutta l’erba un fascio, inserendo da John Lennon a colui per raccoglie le monetine suonando (anche benissimo) nell’isola pedonale in centro città.
Aldilà delle convinzioni personali, cerchiamo di capire meglio, cosa (sempre per coloro ca sinni sientinu) significano i termini usati.
L’artista si distingue dal professionista e dal mestierante per l’attenzione all’innovazione, alla ricerca e alla sperimentazione. È capace di superare i confini del pensiero tradizionale, generando idee originali e opere uniche, spesso cariche di valore estetico e simbolico. Non si limita a ripetere modelli, ma cerca continuamente nuove forme e tecniche, con piena autonomia sulle proprie scelte creative.
Il professionista si focalizza su competenze specifiche, mentre il mestierante si limita a eseguire e ripetere.
Con questa definizione, ci siamo giocati il 90% di chi si definisce artista, incluso il musicista di talento che suona nei locali mentre la gente mangia, beve e chiacchiera.
Il professionista possiede una conoscenza approfondita in un ambito specifico, che applica per risolvere problemi o offrire servizi con competenza, affidabilità e rispetto degli standard etici. Lavora per obiettivi concreti, spesso in collaborazione con altri.
Il mestierante si basa sulla ripetizione di tecniche e procedure, con attenzione alla precisione e alla qualità. Il suo lavoro affonda le radici in tradizioni trasmesse nel tempo, apprese spesso con l’apprendistato, e si concentra sulla realizzazione di oggetti o servizi su richiesta.
Che male c’è, con onestà intellettuale a ritenersi mestierante di una certa forma di espressione?
Ciò è altamente dignitoso, sarà il tempo e la qualità raggiunta nel costante esercizio un giorno a farci ritenere “artisti” sebbene per consuetudine facciamo ciò e dagli altri veniamo identificati come coloro che fanno ciò.
Anche il professionista prima di affermarsi nel suo campo d’azione dovrà studiare e fare tanta gavetta (esercizio) e non è detto che alla fine riuscirà ad emergere, rimanendo uno dei tanti che eserciterà magari con tanta passione, facendo soltanto ciò che gli piace fare o ha solo voluto fare, non è peccato. Un abbraccio Epruno.