Acqua limpida e placida, il cielo grigio, la lupa ovatta i rumori e rende quasi invisibile la linea di costa, la rema è quella giusta.
Condizioni ideali e promettenti per una pesca abbondante, la barca scivola senza fare onda mentre le lenze innescate e appena calate mi dicono che c’è pesce.
Ma le toccate sugli ami spariscono all’improvviso come se qualche predatore si stia aggirando tra i banchi di pesce spaventandoli e costringendoli a spostarsi.
Tonni, immagino, mi arrabbio perché ho lasciato la canna da traina a terra ma capisco immediatamente che non sarebbe servita perché poco dopo salta fuori dall’acqua un delfino e poi ancora uno, e ancora molti di più facendo schizzi e sbuffi. I delfini mettono di buon umore coinvolgendo nel loro gioco chiunque assista alle loro evoluzioni.
Tutti o quasi; un vecchio pescatore a poche decine di metri dalla mia barca sembra non gradire, inizia a urlare e bestemmiare: “ buttana da fera”, grida sbattendo la barra del timone sulla base di uno scalmo.
La fera che gli ha fatto scappare le prede, forse impaurita dal rumore sordo dei colpi, è sparita anche lei insieme al suo branco.
Improvvisamente la calma, anzi il vuoto e il silenzio. Il vecchio si calma e riprende in mano i mestieri per la pesca.
Io rimango a guardarlo, infastidito dalla sua reazione spropositata e violenta.
Ma in fondo, penso, non sono un pescatore e vado in mare per diletto, lui invece lo fa per sopravvivere e forse ha ragione ad arrabbiarsi.
Comprendo perché un animale così simpatico come il delfino, e che qui si fa nemico, avversario nella competizione per il cibo, diventa la Fera.
Fera o Fiera, rimanda la memoria alla Commedia, all’orrida lonza.
Fera o Fiera… il diradarsi della lupa, un raggio di sole illumina il porto, questa vista improvvisa mi fa associare i pensieri: la fiera appare così com’è distesa sulla riva.
Un animale agonizzante spiaggiato, il ricordo sbiadito di fasti del passato nelle architetture dei padiglioni e del portale, disegnati da grandi nomi del razionalismo.
Un quartiere abbandonato all’incuria e che negli ultimi anni è diventato uno scenario post bellico. La demolizione dell’ex Teatro non ha fatto che rafforzare l’idea che quell’area non appartiene più alla città e ai suoi cittadini, privati dello spazio ma anche della capacità di dettare la linea per una azione di riqualificazione e restituzione. L’area più pregiata del lungomare (bando all’odiosa definizione di waterfront) rimane nelle competenze e nei poteri dell’autorità portuale. Viene da chiedersi perché un ente che si chiama portuale debba continuare a decidere come gestire porzioni di territorio che di “portuale” non hanno proprio nulla. E non serve ai messinesi nemmeno provare a farsi ascoltare, specie se l’Adsp dopo aver messo in moto un percorso partecipativo e aver raccolto decine di sollecitazioni e suggerimenti, continua a fare (niente) e disfare (tanto) senza render conto a nessuno sulle linee di indirizzo che darà ai progettisti per il concorso di ridisegno del tratto Boccetta-Annunziata.
Oggi sappiamo che un noto professionista ha ricevuto l’incarico per fare una prima operazione di pulizia, sempre in attesa del concorso di progettazione.
Quindi, forse, per la prossima stagione estiva i messinesi potranno riprendere a passeggiare nei viali ma sempre tra edifici inagibili e spazi non gestiti.
Ma non si poteva fare due anni fa?
“Tempu persu e filu cassariato”!
Nella scarsa visibilità dovuta alla lupa riecheggiano dichiarazioni e comunicati stampa che con toni trionfalistici affermano che l’area sarà presto nuovamente fruibile. Ma perché non si è trovata una soluzione per consentire la prosecuzione dei lavori di restauro dei padiglioni vincolati?
L’impresa che aveva vinto l’appalto, se messa nelle condizioni di lavorare, oggi avrebbe già completato e restituito opere di pregio alla loro funzione originaria.
Invece sì è deciso di non far nulla rimandando tutto a tempi indefiniti; non è stata bandita una nuova gara e considerati i tempi necessari per espletarla e poi riconsegnare i lavori, la certezza è che ci vorranno anni per cancellare anche questa brutta storia.
Anni persi. In un mondo che viaggia ad alta velocità, altre città e territori che continuano a crescere recuperando il proprio patrimonio e mettendolo a reddito, sono la più chiara dimostrazione che perdiamo tempo, tanto.
Forse serve un cambio di scenario, il cambio di paradigma che sta nell’individuazione di responsabilità e nell’affidamento totale delle competenze sulle aree urbane al Comune, ai rappresentanti del popolo che amministrano la Città.
Perché un ente con una missione specifica, a capo del quale c’è un tecnico straniero nominato da Roma, quindi non eletto da nessuno, deve continuare a occuparsi e decidere per noi?
La risposta, troppo ovvia e scontata per essere data senza interrogarsi sulla nostra memoria, su di una coscienza collettiva sopita e ormai indefinita.
Abbiamo perso l’orgoglio di essere i figli di Dicearco, di Antonello, di Juvarra, di Maurolico e di tanti altri illustri messinesi, filosofi, artisti, architetti, giuristi, storici, scrittori e scienziati, mercanti, industriali, armatori, costruttori.
Vabbè, mi dico, basta far galoppare i pensieri a briglie sciolte.
Non è questo il momento e nemmeno il modo per dare una mano, per contribuire a cambiare direzione.
Certo se tornasse un messinese alla guida dell’Autorita portuale…
La lupa si è diradata, il sole splende e si è alzato il vento di canale, ventu cavaleri.
Salpo le lenze e guardo i pesci sul fondo du bagghiolu, metto in moto prua sullo scaro, soddisfatto e ottimista torno a terra.
Placido Sauro