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L'intervista

Sexting e revenge porn, Butera: “Si comincia già a 10 anni” CLICCA PER IL VIDEO

mercoledì 6 Settembre 2023

“Si comincia a dieci anni”. È questo il dato che ha sconvolto anche sociologi e psicologi quando hanno scoperto che alunni appena usciti dalle elementari erano già entrati nel mondo del “sexting” e del “revenge porn”.

“Viviamo in un’epoca sempre più digitale – spiega Giorgia Butera, presidente dell’associazione Mete onlus, che da tre anni e mezzo organizza tra l’altro incontri nelle scuole, coinvolgendo anche i genitori degli adolescenti – in cui i giovanissimi credono di poter esistere solo con la loro presenza sul web. E, quindi, pensano che sia normale inviare o ricevere foto e video a sfondo sessuale. Ma non sanno che è sempre più frequente la vendetta, la condivisione in rete di queste immagini pornografiche. Mandando una propria foto si sentono grandi, si sentono belle e belli. Non farlo significa non essere accettati. Non vedono il pericolo”.

La risalita è un percorso lungo

Non sanno che, rendendo banale e normale ciò che non lo è, possono finire dentro una spirale da cui è difficile uscire se non dopo un percorso lungo, accompagnati da psicologi e avvocati. Un percorso in cui è necessaria anche la presenza della famiglia, della scuola, di chi sta loro attorno nel mondo reale.

“È un’emergenza sociale – prosegue Butera – di cui spesso le famiglie non sono a conoscenza”. Eppure, basterebbe soffermarsi ad ascoltare i propri figli per accorgersi che qualcosa non va.

Come nel caso di una interrogazione su un argomento su cui non si è preparati, ragazzi e ragazze non riescono a dissimulare le proprie difficoltà: “Hanno paura, raccontando di essere stati vittime di revenge porn, di essere derisi dai loro coetanei. I parametri sono sballati”, fa notare Butera, che sottolinea come le vittime possano essere sia femmine che maschi.

Come far capire alle nuove generazioni che la vita vera è ciò che accade fuori dallo schermo di uno smartphone?

“Esiste un vuoto affettivo. C’è bisogno di educazione civica, di messaggi di civiltà, di educazione sessuale, per spiegare che ciò che succede in un video porno è solo finzione. Ma c’è bisogno anche di educazione sentimentale, oggi relegata a qualcosa di antico. L’unico suggerimento è parlare con figli e nipoti. Parlare apertamente, senza vergogna, perché loro sanno, sono inondati di informazioni, ma non hanno i mezzi per discernere cosa è giusto e cosa no. Noi adulti consapevoli e pressoché responsabili abbiamo il dovere di aiutarli”, sottolinea.

Un presidio esterno per le associazioni che, come Mete onlus, si battono per il rispetto di tutti i diritti umani è costituito dalle farmacie. In questo luogo quasi “sacro”, il messaggio lanciato è leggermente diverso, “perché implica la consapevolezza di cosa sia il sexting e delle implicazioni del reato di revenge porn. Ci rivolgiamo a chiunque. Ma deve emergere che il sexting non è un comportamento sano. È donare qualcosa di se in maniera inconsapevole. Chiedere foto e video è una nuova forma di violenza, accattivante e fa male solo alla vittima. Non si esiste perché una nostra immagine va in giro, si esiste a prescindere”.

info@meteassociazione.it oppure 091.8931071

Violenza sessuale: l’importanza di denunciare per scardinare il muro di pregiudizi

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