La situazione carceraria in Sicilia non è delle migliori. Le numerose rivolte ed episodi di violenza che nelle ultime settimane si stanno verificando negli istituti penitenziari dell’Isola sono solo la punta dell’iceberg di una serie di circostanze sommerse che troppe volte negli anni sono state trascurate. Carenza di operatori, diritti negati e sovraffollamento sono le condizioni quotidiane per i detenuti e le detenute in ambito regionale e, più in generale, nell’intero territorio italiano. A ciò si aggiunge anche la trascuratezza dell’aspetto affettivo e psicologico a causa del distacco dalla famiglia e dai legami più cari, specie per le donne recluse.
LE RIVOLTE
Le discutibili condizioni di permanenza carceraria hanno provocato, specie nelle ultime settimane, alcune rivolte interne. Ingenti i danni causati all’interno degli istituti penitenziari, oltre a qualche problema per gli operatori del settore nel riportare l’ordine. Le rivolte nel carcere di Trapani ad ottobre e nell’istituto Malaspina di Caltanissetta alla fine di novembre sono solo gli ultimi episodi di una lunga scia di disordini.
Percorrendo in senso contrario un’immaginaria linea del tempo, affiorano ancora alla memoria in modo nitido i tumulti verificatisi durante la pandemia in quasi tutte le carceri. In quella occasione le vicissitudini interne agli istituti penitenziari si mescolavano con le proteste contro le necessarie regole di contenimento del contagio da Covid-19. È fuori da ogni dubbio che, almeno nella prima fase della pandemia, il sovraffollamento carcerario aveva provocato la potenziale violazione di alcuni diritti come quello alla salute.
LA SITUAZIONE DELLE DONNE RECLUSE
Finita l’emergenza sanitaria, tuttavia, c’è ancora parecchio da migliorare, specie per le donne recluse. Seppure in minoranza, le detenute subiscono violazioni ancora maggiori dei propri “colleghi” uomini.
Pino Apprendi, garante dei detenuti di Palermo, ha sottolineato: “Per le donne detenute emerge drammaticamente la mancanza di affettività, a causa della distanza fisica, e non solo, dai figli e dai genitori. Ci vorrebbe una maggiore sensibilità da questo punto di vista. Inoltre, laddove possibile, servirebbe cercare di attuare misure alternative al carcere, specie per le donne con bambini. Purtroppo negli ultimi provvedimenti legislativi è stato reintrodotta la possibilità che la donna, anche incinta o con bambini minori, può andare in carcere, portando anche con sé i figli”.
Alla carenza affettiva si aggiunge un altro problema che emerge dai dati Istat del 2022. Secondo l’istituto, le carceri siciliane hanno soltanto 169 posti riservati alle donne, contro una capienza pari a 6.331 per gli uomini. Certamente, l’indice relativo ai reati commessi dalle prime è nettamente inferiore rispetto ai crimini perpetrati dai secondi. Questo però non è sufficiente a giustificare un divario di tale entità in merito alla disponibilità delle celle per il genere femminile.
Ad oggi, infatti, ogni 100 posti disponibili per le detenute sono presenti circa 128 donne. È la seconda percentuale di sovraffollamento più alta in tutta Italia, dietro soltanto alla Liguria, nonostante il numero di detenute siciliane sia di sole 224 unità.
Questo può portare a due conseguenze, tra loro alternative, ma entrambe non auspicabili. Da un lato, si pone la possibilità di sistemare le detenute in una condizione di sovraffollamento delle celle, dall’altro di consentire temporaneamente una composizione mista nel genere degli occupanti. In tutti e due le circostanze si commetterebbero delle violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle regole dell’ordinamento penitenziario italiano.
Inoltre, la prevalente occupazione maschile delle carceri determina la tendenza a plasmare la vivibilità degli istituti penitenziari alle esigenze degli uomini e meno a quelli delle donne. Le celle di detenzione riservate a queste ultime, già sovraffollate, spesso non presentano neppure le condizioni sufficienti per soddisfare i bisogni igienici e sanitari peculiari, come la disponibilità di assorbenti che andrebbero forniti gratuitamente.
Anche l’istruzione offerta alle detenute deve rispettare il principio della separazione rispetto agli uomini. Non sempre, tuttavia, l’organizzazione penitenziaria consente la garanzia di questo diritto a causa del basso numero di donne che desiderano accedere a questo tipo di programmi formativi.
Risolvere alcuni di questi problemi è una sfida essenziale da affrontare in tema di civiltà. In merito, Pino Apprendi spiega: “L’unica soluzione per scontare una pena non può essere solo il carcere. Si possono attrezzare delle case-famiglia, degli istituti dove possa andare la donna con il bambino, che non siano le grate del carcere. Anche perché un bambino che cresce in carcere con la madre non penso possa dimenticare mai questa esperienza”.