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L'inchiesta

Evasione dell’Iva per 30 milioni di euro: dieci arresti e sequestri anche in Sicilia

martedì 27 Febbraio 2024

Dieci persone arrestate, 17 divieti di esercitare l’attività d’impresa e il sequestro di 30 milioni di beni nei confronti di 17 società e di 25 indagati.

E’ il bilancio dell’operazione ‘Ultimo brindisi’ della Guardia di finanza di Catania, coordinata dalla Procura europea di Palermo, nei confronti di un’organizzazione che avrebbe illecitamente commercializzato bevande in Italia evadendo l’Iva. L’ordinanza è stata eseguita da Finanzieri nelle province di Venezia, Vicenza, Messina, Siracusa, Salerno, Roma, Padova, Rieti, L’Aquila e Milano.

Tra gli indagati anche il figlio incensurato di un boss del clan Santapaola.

Filippo Intelisano, 41 anni, incensurato, figlio del boss Giuseppe, detto ‘Pippu ‘u niuru’ (‘Pippo il nero’, ndr) esponente di spicco del clan Santapaola, di cui sarebbe stato anche per un periodo il reggente, che sta scontando l’ergastolo, comminato il 28 giugno del 2003 con la sentenza del processo ‘Orione 5’, in regime di 41 bis nel carcere di Sulmona. Filippo Intelisano è stato arrestato all’aeroporto di Venezia mentre, insieme alla moglie, stava per imbarcarsi per Dubai. L’inchiesta è stata coordinata dai pm della Procura Europea Amelia Luise e Gery Ferrara e si basa su indagini del primo Gruppo della Guardia di finanza di Catania .

Filippo Intelisano era stato indagato in stato di libertà nel marzo del 2008 nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Catania sul tentativo, sventato da indagini della Guardia di finanza, di riacquistare un‘azienda di trasporti, la Riela group, che era stata confiscata per mafia nel 1999. Gli altri arrestati, destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, nell’ambito della stessa operazione di oggi dalla Guardia di finanza sono: i catanesi Milena Bulla, Fabio Spina, Vincenzo e Andrea Maria Carelli e il salernitano Concordio Malandrino. Il gip Marina Rizza ha disposto i domiciliari per Virgilio Papotto, Cristian Parisi, Gianluca Russo e Settimo Carlo Abate.

L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal Gip del capoluogo etneo su richiesta dei procuratori europei delegati dell’Eppo di Palermo su indagini del primo Gruppo della Guardia di finanza di Catania. Il giudice ha disposto il carcere per sei indagati e gli arresti domiciliari per altri quattro, compresi due consulenti fiscali, padre e figlio, ipotizzando, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere, evasione e frode fiscale e bancarotta.

Emessa una misura cautelare interdittiva nei confronti di 16 imprenditori e un ragioniere, prescrivendo loro il divieto di esercitare la loro attività per un anno. Disposto anche il sequestro preventivo di beni nei confronti di 17 società di capitali con sedi a Catania, Messina, Padova e Roma, tutte operanti nel settore del commercio all’ingrosso e dettaglio di generi alimentari e bevande e del trasporto, di 98 immobili e di 29 veicoli, per complessivi oltre 30 milioni di euro, equivalenti alla presunta evasione fiscale.

Secondo l’accusa, a capo dell’associazione per delinquere sarebbe un 41enne incensurato figlio di esponente del clan mafioso Santapaola attualmente detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Sulmona. L’inchiesta, durata due anni, ha acceso un faro su un presunto gruppo criminale, con base operativa in un deposito di Belpasso (Catania), che, avvalendosi di imprenditori e professionisti, ha realizzato, negli anni, un volume d’affari superiore a cento milioni di euro.

L’organizzazione, secondo l’accusa, gestiva imprese cartiere e interposte servendosi di prestanome. Contestati anche: l’acquisto senza Iva di merci falsamente destinate all’estero, il mancato versamento in Italia dell’imposta sugli acquisti provenienti da San Marino, dove il sodalizio operava con un’azienda a loro riconducibile, e la simulazioni di operazioni intracomunitarie con una società apparentemente situata in Bulgaria, ma di fatto da loro gestita in Italia.

Profitti illeciti per quasi 600 mila euro sarebbero stati realizzati anche attraverso crediti d’imposta inesistenti, come falsi corsi di formazione per i dipendenti a loro riconducibili. Ad alcuni indagati sono contestate episodi di bancarotta fraudolenta di tre società oberate dai debiti tributari, preventivamente drenate delle risorse finanziarie e private di beni strumentali, e poi cedute a prezzi irrisori.

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