“Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi, celeste dote è negli umani; e spesso per lei si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi…” (Dai Sepolcri di Ugo Foscolo)
Non in un giorno qualunque, bensì nel giorno in cui si ricordano i propri cari defunti, le parole del Foscolo vogliono essere esse stesse un gancio col passato per far rivivere, ciò che un tempo significava la festa dei morti in Sicilia. “U cannìstru” a tal proposito rappresentava un cesto colmo di biscotti tipici come “tetù e teìo o le ossa dei morti” e di frutta martorana in cui padroneggiava a “pupa ri zuccaru” un pupazzo realizzato interamente di zucchero e finemente decorato.
Questo cesto per la prima volta, secondo la tradizione, fu preparato dalle suore benedettine del convento attiguo alla Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo, meglio conosciuta come Chiesa della Martorana. Le suore, una volta preparato il cesto la sera del primo Novembre, lo facevano trovare l’indomani mattina (non è dato sapere se lo nascondessero) ai bimbi orfani del convento, dicendo loro che si trattava di un dono da parte della benefattrice ormai defunta, che aveva creato e dato il nome al convento.
Si tratta della nobildonna Eloisa Martorana, vissuta in piena epoca normanna a Palermo, che proprio nel 1194 fondò insieme al marito Goffredo il convento denominato proprio della Martorana. Eloisa è considerata la mamma dei dolcetti di mandorla a forma di frutto, chiamati appunto frutti di Martorana. Li preparava per i suoi orfanelli, che considerava come suoi figli, ma era del tutto ignara di come fossero divenuti poi fonte della sua stessa evocazione e addirittura tanti secoli più tardi, simbolo di uno dei successi enogastronomici di un’intera isola. Ed ecco la centralità del valore evocativo del dono, capace di riportare in questo caso alla mente una persona e i suoi gesti d’amore.
Le suore benedettine vollero ricordare Eloisa attraverso uno dei gesti che lei stessa compiva per i suoi orfanelli, vollero evocarla attraverso le emozioni di stupore nel ricevere i doni, che solo i bimbi sanno provare con la purezza intatta dell’innocenza.

E’ per tale motivo che la frutta Martorana per un siciliano non è solo un dolce, ma è simbolo di una profonda sensorialità emotiva ed evocativa. È un dono che proviene da chi ha già lasciato il mondo terreno a favore dei bimbi, che hanno tutta la vita davanti, a voler significare che l’amore va oltre la vita anzi, va in una regione neutrale dal sapore onirico, in uno spazio metafisico dove è possibile realizzare la piena corrispondenza tra morte e vita. Pasta reale e marzapane, gli altri nomi della frutta martorana: Non solo fucina di creazioni celeberrime in tema culinario, i conventi nella storia furono anche nido di creatività allo stato puro.
E’ il caso dello stesso convento sopraccitato delle suore benedettine, le quali attorno al 1500 ricevettero la notizia di un’imminente visita di un personaggio illustre, forse un vescovo o più probabilmente un re. Il personaggio in questione, avendo sentito parlare di un giardino molto curato e raffinato, divenuto famoso per i suoi agrumi e attiguo all’omonimo convento (oggi è ancora esistente e annesso al polo universitario di architettura a Palermo), aveva pertanto deciso di visitarlo. Dal canto loro, le suore, una volta ricevuta la notizia, restarono spiazzate dall’imminente visita (si narra che il periodo fosse quello della fine di Ottobre) proprio perchè in quel periodo dell’anno gli agrumeti, soprattutto limoni e arance, ancora fossero spogli di frutti maturi. Ciò avrebbe deluso le aspettative del visitatore illustre e allora urgeva ricorrere ad un escamotage. Ecco la brillante idea delle suore, da sempre creatrici di innovazione, già all’opera per la preparazione della frutta martorana, una volta pronti, appesero gli stessi frutti agli alberi spogli così da far credere possibile una strabiliante fruttificazione.
Quel famigerato giardino, nella sua versione autunnale “bizzara” si trasformò in un palcoscenico di frutti perfetti, dai colori accesi e vividi come fossero veri. L’illustre personaggio “la tradizione spinge per identificarlo con un re” non esitò a star lontano da quei frutti, tant’è che prese un’arancia nel tentativo di sbucciarla. Il re a questo punto rimase a bocca aperta, chiese delucidazioni, le ebbe e convincendosi ad addentare il frutto esclamò “è così buono che merita di essere una pasta reale”.
Da allora la frutta martorana ricevette la sua incoronazione reale. Storia ben diversa è quella legata al “marzapane” perchè urge andare alla dominazione araba che in Sicilia si concluse nell’undicesimo secolo (anno 1072). “Marzapan” in arabo indica il contenitore di legno con coperchio, usato sia come unità di misura per la capacità contenitiva sia per conservare documenti. In alternativa e in questo i siciliani ne sono avvezzi fin da tempi remoti e non sospetti, il “marzapan” appunto veniva usato per conservare dolciumi e prelibatezze e anche per spedirli.
La tradizione vuole appunto che contenesse anche dei dolci realizzati con miele e mandorle ridotte in farina, da qui il termine italianizzato “marzapane” per indicare dolci fatti proprio con mandorle e zucchero. Sia che si chiami “martorana”, “pasta reale” o “marzapane” quel che è sicuro, è che ci troviamo di fronte ad un dolce dalla storia millenaria, arricchito nei secoli da aneddoti, tradizioni, leggende e significati profondi che, tassello dopo tassello, hanno saputo raccontare una storia di successo “Frutta martorana” una corrispondenza d’amorosi sensi.





