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Alberto Amedeo, il principe che non volle diventare re di Sicilia

venerdì 8 Marzo 2019

Nella vicenda rivoluzionaria del ’48 siciliano si incontra un singolare personaggio chiamato, estemporaneamente, in causa per assolvere un ruolo di protagonista a cui apparve, fin da subito, disinteressato. Si tratta del Ferdinando Alberto Amedeo di Savoia-Carignano, secondogenito di Carlo Alberto re di Sardegna.

Ma andiamo ai fatti. Tutto prende avvio dalla sofferta decisione del Parlamento generale di Sicilia, assunta il 13 aprile 1848, con la quale si dichiarava decaduta la dinastia borbonica. Quella forte manifestazione di volontà di cambiamento non significò, come qualcuno avrebbe potuto pensare, una condanna del regime monarchico, ma fu una bocciatura di una dinastia che da oltre un secolo occupava il trono di Sicilia. Non fu un caso che lo stesso Parlamento, dopo l’affannosa ricerca di un re, l’11 luglio successivo, acclamasse come proprio sovrano proprio Ferdinando Alberto Amedeo, duca di Genova, dopo averlo, per ovvie ragioni, invitato a ribattezzarsi come Alberto Amedeo.

La decisione del Parlamento era stata assunta, inaudita altera parte, cioè unilateralmente, anche se confortata dalla certezza che il giovane Savoia avrebbe accolto con favore la nomina e avrebbe dato il suo assenso. Al decreto di nomina seguivano, infatti, come se la cosa fosse fatta un paio di delibere con le quali si fissava l’ammontare dell’appannaggio e le dotazioni reali.

Non meraviglia, dunque, la grande delusione e il senso di scoramento che si diffuse fra i parlamentari quando arrivò la comunicazione, garbata ma senza spazio a possibili ripensamenti che, ragioni di politica internazionale oltreché gli impegni militari che lo vedevano uomo di punta dell’esercito piemontese nella sfortunata campagna contro gli austriaci, impedivano al giovane duca di Genova di assumere così alte e gravi responsabilità. Una doccia fredda sugli ardori e le passioni che avevano animato i membri del parlamento siciliano.

E così, mentre si cercava un sovrano fra le case regnanti d’Europa, ricevendo solenni rifiuti, le funzioni di capo dello Stato siciliano venivano assunte dall’anziano leader del partito moderato, quel Ruggero Settimo dei principi di Fitalia – proclamato come il “padre della Patria” – che aveva già partecipato alla rivoluzione del 1820 ed era stato ministro del governo provvisorio.

Intanto Ferdinando Alberto Amedeo si guadagnava sul fronte l’encomio del padre Carlo Alberto per la perizia militare con la quale aveva condotto le sue azioni di guerra in occasione dell’assedio alla fortezza di Peschiera.

Bisogna sottolineare come la mancanza di un re, non sia stata fattore secondario nella debolezza e instabilità dello Stato siciliano dopo la rivoluzione. La storia del mancato re, di colui che fece “il gran rifiuto”, si concluse qualche anno dopo: il 10 febbraio 1855, all’età di 32 anni moriva dopo una breve malattia.

Curiosamente, tuttavia, quello che era stato un passaggio incompleto della storia di Sicilia era però rimasto memoria forte nella storia dei siciliani, non fu casuale infatti che nel 1910 i palermitani dedicassero ad Alberto Amedeo, questo “personaggio virtuale vissuto solo nella spirazione sia pure di una buona parte del popolo isolano”, una delle arterie principali della città.

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