Il governo regionale continua a mettere a fuoco contenziosi con Roma, ma in molti, preoccupati, cominciano a interrogarsi, se e quando, qualcuno, dal governo centrale, sarà in condizione, di questo passo, di battere un colpo.
L’ultimo caso, mediamente eclatante, è stato quello del decreto delle quote rosse di tonno in cui gli assessori Edy Bandiera, all’Agricoltura e Mimmo Turano, alle Attività produttive, hanno contestato le scelte romane che con un decreto, disattendevano di fatto le aspettative. Nei giorni scorsi, più d’uno, all’Ars e nella maggioranza che sostiene Musumeci, ha avanzato dubbi sulla tenuta, o meglio, sulla possibilità di una riuscita, alla luce di un possibile rischio impugnativa di alcune norme, tra Finanziaria e collegato, della dialettica pratica e operativa tra la Sicilia e Roma.
Il disagio c’è. Non è roba inventata dai giornali, o amplificata dalle situazioni contingenti in maniera strumentale. Quando Mattarella ha voluto a tutti i costi evitare che Gentiloni, nei mesi scorsi, prima del voto, si presentasse dimissionario, pensava al peggio. Allo scenario di oggi e a quello che si sta vivendo.
Già un rapporto fatto di carte e di vertici di burocrazia che si rincorrono sulle interpretazioni delle norme, più che sugli effetti che ne producono, è complicato di suo nella normalità delle dinamiche consolidate, figuriamoci, quando viene a mancare il filtro e il coordinamento, oltre che l’indirizzo, di un governo politico o istituzionale che sia, legittimato a farlo.
Se un governo nazionale, in questi giorni dovesse nascere, la Sicilia avrebbe da abbrancare la presa in alcuni tentativi espliciti e di un certo rilievo, da porre al centro di un dialogo rinforzato. Musumeci, che è anche commissario per l’emergenza idrica e per i rifiuti, anche se con poteri “poco speciali”, come lui stesso ha ammesso con una punta di ironia, ma senza riserve, ha mandato avanti il suo vicepresidente Gaetano Armao. A rivendicare e a rinegoziare. A partire dal tetto del 3% della spesa che la Sicilia, proprio per aprire il contenzioso la Regione ha ultimamente scelto di non rispettare.
Anche i 600 milioni di euro, accertati in entrata, che la Regione ha voluto mettere in bilancio sulle accise e che non sono stati mai richiesti in passato dalla Sicilia, non caleranno dal cielo, ma necessitano di meccanismi, tecnici e politici da perfezionare. Con reattività.
Il rapporto in passato tra i due governi, nazionale e regionale, entrambi a guida Pd, non ha entusiasmato né scaldato i cuori di nessuno. Oggi il dato, al di là dei colori politici, difficili da leggere – ora e anche nel futuro immediato – potrà essere solo più complicato e foriero di ulteriori complicazioni e scaricabarili.