Che gli italiani preferissero le straniere ce ne eravamo accorti da soli. Non c’era bisogno che Flavio Briatore ci illuminasse con la sua riflessione sul settore dell’automobile in Italia, schiacciato dalla pressione delle case estere e relegato a pochi irriducibili aficionados, nostalgici di vetture di 20 o 30 anni fa, di cui sono rimasti solo i nomi.
Scegliere auto straniere, poi, è nel dna dei siciliani. Ne è prova il fatto che un secolo fa a Palermo le due fabbriche che producevano automobili, Apis e Audax, sono durate pochi anni, perché ai modelli nostrani i nobiluomini preferivano quelli inglesi e tedeschi.
La più amata, però, resta italiana
Per la verità, l’ex team principal della “fu” Renault di Formula 1, numeri alla mano, ha sbagliato a dire sui suoi canali social che le vetture più vendute nel Belpaese sono straniere. A tenere saldamente la testa della classifica, infatti, c’è sempre Panda (che è anche l’auto più rubata, ndr), seguita a ruota da Ypsilon e da 500, almeno secondo le immatricolazioni di agosto 2023. Però, in un certo senso, Briatore ha colto nel segno, se il suo ragionamento si sposta sulla varietà di modelli che vadano bene un po’ per tutte le tasche e per la produzione delle stesse vetture, che si è trasferita definitivamente in altri Paesi.
In un mercato frammentato tra diverse tipologie di alimentazione resistono i marchi premium, ma è sempre più evidente l’exploit di case che promettono uno stile simile a prezzi più accessibili. Ed è grazie a queste vendite che l’indotto può tirare un sospiro di sollievo. L’aumento a doppia cifra rispetto ai primi otto mesi dello scorso anno fa sperare che si possa lentamente risalire ai livelli pre-pandemici, anche se il divario rispetto al 2019 rimane ancora superiore al 20%.
Su una cosa, però, Briatore ha completamente ragione: la Fiat o, meglio, l’idea di Fiat che abbiamo ancora in mente, non esiste più. Ma non esiste più da almeno vent’anni. Dal 2002 al 2009, per salvarla da un tracollo ormai imminente visto l’ormai incolmabile ritardo rispetto alle richieste del mercato a cui si è aggiunta la crisi economica mondiale, Sergio Marchionne aveva iniziato un percorso di trasformazione radicale dell’azienda.
Dalla sopravvivenza grazie alle sovvenzioni statali, di lì a qualche anno sarebbe diventata una multinazionale in grado di orientare diversi mercati.
E, allora, via all’operazione Fca e all’unione con Chrysler. L’eredità di Marchionne è, poi, la fusione successiva con il gruppo Psa, che ha dato vita ai 20 marchi di Stellantis nel 2021.
Ogni traguardo ha un prezzo
A che prezzo, però, lo sanno bene i dipendenti, che dal “salvatore” Marchionne hanno ricevuto un’amara sorpresa: la lista degli stabilimenti da chiudere, a causa della continua flessione del mercato internazionale. Tra lotte sindacali, cassa integrazione, licenziamenti e riconversioni, quello di Termini Imerese è arrivato fino al 2011. Negli anni i governi regionali e nazionali che si sono succeduti non sono riusciti a mettere d’accordo sindacati e holding per provare a risollevare quello che era stato il simbolo della rinascita economica della Sicilia. Se ne parla oggi, ma la produzione di vetture nel frattempo si è spostata inesorabilmente verso Polonia, Brasile, Argentina, Turchia, Serbia, India e Cina.
Tra nostalgia, sport e sostenibilità
Lo zoccolo duro, seppur di nicchia, è costituito dagli altri marchi dell’ex gruppo Fiat, soprattutto quelli sportivi come Alfa Romeo e Abarth, alimentati dalla passione degli acquirenti, che ha radici lontane. Per cavalcare quest’onda, in particolare, la casa del Biscione ha appena presentato la sua ultima nata, la 33 stradale, il cui set-up in pista ha visto il supporto del pilota di F1 Valtteri Bottas. Sarà prodotta in soli 33 esemplari, già tutti venduti alla bellezza di 1,5 milioni di euro ciascuno.
Se da un lato, ci sono i romantici dei vecchi modelli, a cui il gruppo ammicca recuperandone più che altro solo il nome, dall’altro abbiamo lo sguardo verso le nuove richieste del mercato. Ed è proprio da questa strategia che arriva il premio Auto dell’anno 2023. A gennaio, infatti, a trionfare è stata Jeep Avenger, che ha ricevuto il riconoscimento grazie al voto di 328 giornalisti specializzati. È il primo modello elettrico del marchio. La scelta è ricaduta sul B-suv per i giudizi complessivamente favorevoli su design, comfort, sicurezza, economicità d’esercizio, guidabilità, prestazioni, funzionalità, rispetto per l’ambiente e rapporto qualità-prezzo.
Globalizzazione, glocalizzazione, guida autonoma e sostenibilità: le sfide del futuro
Mentre il futuro dello stabilimento di Termini Imerese è ancora immerso in una nebbia che sa più di Pianura padana che di Sicilia, una certezza, c’è: Panda continuerà ad essere prodotta a Pomigliano d’Arco almeno fino al 2026. In Campania si terranno stretta questa opportunità, che sta portando introiti alla holding e, di riflesso, al territorio, in un periodo di penuria.
“Il futuro delle fabbriche italiane è uguale a quello degli altri stabilimenti europei del gruppo. Non dipende da noi, ma dalle dimensioni del mercato”. Così ha commentato la flessione del settore automotive globale l’ad di Stellantis, Carlos Tavares, parlando del piano strategico “Dare forward 2030”.
In un mondo che guarda sempre più alla sostenibilità, in cui l’obiettivo dell’Ue è arrivare alle cosiddette “zero emissioni” entro il 2050, in cui l’intelligenza artificiale ci sta già spingendo verso scenari finora immaginati solo da letteratura e cinema di fantascienza, in Australia si sta già commercializzando la prima auto a idrogeno, ricaricabile in cinque minuti, 900 km con un pieno: una vettura di piccola cilindrata, che durante l’utilizzo purifica l’aria, immagazzina energia in frenata e produce solo acqua.
Il futuro è adesso. Stellantis sarà capace di sfruttarlo? E per farlo proverà a recuperare la sua connessione col territorio o si affiderà ancora alla legge della convenienza?