In Sicilia la crisi idrica non arretra di un passo, i cittadini sono invitati a risparmiare l’acqua, indirizzando i singoli comportamenti quotidiani ad un uso civico e corretto della risorsa idropotabile, e anche le esigue risorse idriche destinate all’irrigazione dei terreni agricoli sono a rischio. Sono anche queste le conseguenze scaturite dall’emergenza siccità e le vetuste reti infrastrutturali idriche dell’Isola fanno la propria parte, aggravando un problema che si protrae da decenni.
La Regione sta lavorando per utilizzare al meglio le risorse a disposizione per l’agricoltura e gli usi potabili, provando anche a reperirne di nuove. Piccoli accorgimenti semplici che sono importanti, ma al tempo stesso non sufficienti per sostenere queste due grandi emergenze. La disponibilità idropotabile non si estende ovunque, ci sono delle aree, soprattutto nel Nisseno e nell’Ennese, che hanno una particolare carenza di acqua e dove sono già in essere delle restrizioni importanti in termini di approvvigionamento, circa il 35 per cento di riduzione nell’erogazione dei quantitativi idrici. Riduzione che si traduce in una forma di razionamento dell’acqua abbastanza pesante e che è stata portata avanti con l’intento di prolungare la disponibilità di acqua all’interno degli invasi e per non lasciare a secco le città, in attesa che vengono realizzate una serie di opere che sono surrogatorie della indisponibilità di acqua che in questo momento la Sicilia registra. Il problema si ripercuote poi sulla capacità degli enti locali di affrontare le criticità. Il modello gestionale del servizio portato avanti dai comuni non ha ripagato. Negli ambiti dove non c’è un gestore, la governance è deficitaria e i comuni difficilmente potranno gestire l’emergenza in termini ottimali, difficoltà legate ai problemi di bilancio e a quelli della riscossione dei tributi.
Tutti dossier sul tavolo della Regione e rispetto ai quali il governo Schifani è chiamato a dare una riposta. Anci Sicilia affronta questa ampia tematica che coinvolge i comuni siciliani i quali subiscono in prima battuta l’emergenza acqua e le cui competenze sono ridotte. Quest’ultimi vivono direttamente i disagi legati al razionamento, e talvolta alla mancanza, dell’acqua.
Il segretario generale dell’Associazione dei comuni, Mario Alvano, ha spiegato infatti che servirebbe un investimento specifico di cui si parla poco, ma che potrebbe essere di lungo periodo: il rafforzamento della struttura organizzativa delle assemblee territoriali idriche – Ati – i soggetti che sul territorio svolgono un ruolo significativo per quanto riguarda le scelte strategiche. A partire dalla definizione del Piano d’ambito e dalla scelta del gestore. Dal punto di vista amministrativo la rotta andrebbe invertita.
“La gestione delle acque è un tema delicato e le sole norme non bastano, vanno organizzate materialmente le attività di governance della risorsa idrica. Dalla depurazione, agli impianti, alla possibilità di evitare o arginare il rischio siccità, che probabilmente si presenterà ogni anno. Queste struttura vanno potenziate e questo è possibile solo attraverso ingenti investimenti che servono ad avviare tutte le azioni per sistemare la rete idrica, quale infrastruttura strategica. Dobbiamo interrogarci su chi porta avanti le azioni nel quotidiano, ci sono realtà locali che hanno una buona governance sul piano amministrativo, grazie alla presenza di figure specifiche che sanno dialogare con i gestori. Nel Palermitano, devo dire che l’Amap con tutti i suoi problemi, ha una certa esperienza e capacità tecnica per affrontare le criticità. Laddove non abbiamo queste realtà, ma c’è il privato che fa la sua parte, dobbiamo avere una struttura che rappresenti i comuni del territorio e che sappia dire la sua dal punto di vista tecnico, che possa tutelare gli interessi di quella realtà, arrivando poi agli affidamenti ai gestori. Io credo che vada fatto un investimento anche sul piano delle risorse ordinarie. Vuol dire consentire a chi è chiamato a gestire questo settore così strategico a servirsi delle professionalità per portare avanti il tutto”.
Facendo un’analisi delle nove Ati, corrispondenti al numero delle Province siciliane, purtroppo la Sicilia non è interamente coperta, ecco perché diventa fondamentale investire sul fronte delle risorse ordinarie. E gli investimenti si attraggono “grazie alla capacità operativa di programmare, progettare, attività che possono essere portate avanti solo se ci sono risorse umane specializzate nell’intercettare i finanziamenti e portare a casa i risultati. In alcune zone dell’Isola, la rete idrica presenta delle problematiche spaventose in termini di perdite dell’acqua. Tra le scelte strategiche che vanno fatte c’è il potenziamento delle Ati con un contributo specifico sulla parte ordinaria finalizzato al totale rafforzamento di queste realtà, attraverso l’assunzione di professionisti che sono indispensabili e di evitare di richiedere ai singoli comuni dei contributi, già provati da altre difficoltà quotidiane. In Sicilia, ricordo, che ci sono centinaia di comuni fra dissesto e pre-dissesto”.
Un piano c’è. L’acquisto di nuove autobotti nei comuni in crisi, la rigenerazione di pozzi esistenti e la riattivazione di quelli abbandonati, il potenziamento degli impianti di pompaggio e delle condotte, ma servono operazioni più strutturali, a fronte del fatto che la Sicilia è la regione italiana che registra il maggior numero di perdite idriche. Una dispersione in rete del 52,5 per cento secondo dati Istat e che in alcune aree supera addirittura il 70 per cento.
Le criticità dei comuni sono anche legate alla governance di un’altra grande emergenza: gli incendi. Anche su questo fronte, quello della prevenzione, c’è bisogno di risorse economiche e di sinergia istituzionale. Le fiamme divampate la scorsa estate non si scordano tanto facilmente e il rischio che in Sicilia possa verificarsi un nuovo dramma non è da sottovalutare. Anche in questo caso, è solo carenza di numero di unità operative (e quindi più uomini sul campo), oppure va implementato meglio tutto il sistema? Oltre a mezzi e uomini, è sempre necessaria una puntuale prevenzione e mettere in sicurezza i terreni. Tuttavia la prevenzione non è sufficiente di fronte alla vastità della città che rende poi difficili, se non impossibili, i controlli del comune sui privati affinché mettano in sicurezza i propri terreni da sterpaglie e materiali infiammabili.
“Non possiamo chiamare emergenza ciò che si verifica ogni anno. Quando un fenomeno si presenta in maniera puntuale, allora dobbiamo cambiare approccio. Quando ci si accorge che i comuni hanno manifestato nel corso degli anni delle difficoltà, non basta scrivere una lettera con le azioni da intraprendere, occorre interrogarsi sul problema. Il tema degli incendi riguarda una trasversalità di azioni nelle diverse stagioni che hanno a che vedere con il dissesto idrogeologico, con gli smottamenti, che impattano sul territorio e che costituiscono una pre-condizione per l’insorgere degli incendi. Serve un sistema che guardi al controllo del territorio sotto tutti gli aspetti. Intanto – prosegue Alvano – va rafforzato il nostro sistema di Protezione civile, e non è più possibile farlo basandosi solo sulla capacità organizzativa dei singoli comuni. Ci sono oltre 210 piccoli comuni sotto i 5 mila abitanti e piccolissimi comuni. Poi ci sono problemi di spopolamento e aggiungiamo che in questi piccoli comuni mancano gli agricoltori coloro che vivono nelle campagne e che controllano il territorio, abbiamo un problema di proprietà terriera perché molti terreni sono abbandonati. Rispetto ad alcune aree c’è grande disinteresse e molte sono abbandonate, altre sono più appetibili. L’agricoltura è strettamente legata al tema degli incendi perché avere un presidio territoriale dell’uomo significa garantire un’osservazione su quella zona e in alcuni casi anche azioni di prevenzione. La questione delle competenze specifiche dei comuni va gestita con un approccio regionale o di territorio ampio. Se pensiamo alle operazioni legate al catasto degli incendi, al rispetto delle ordinanze da parte dei sindaci, queste non funzionano se concepite su base territoriale. Si fa fatica a mettere in campo una centrale operativa. Gli strumenti ci sono, ma è difficile attivarli. Serve una cooperazione integrata su più livelli istituzionali”.