Noi docenti siamo dei ladri: abbiamo tre mesi di vacanza in estate, rubiamo lo stipendio anche durante le vacanze di Natale e di Pasqua, per non parlare dei lunghi ponti. E quindi, secondo questa logica, dovremmo fare lezione anche a luglio e ad agosto. Con l’arrivo del Covid – 19, il lockdown e la Dad (parole fino a poco tempo fa sconosciute, oggi martellanti), ancora di più ci siamo attirati le ire dei nostri detrattori. Cosa abbiamo fatto se non grattarci la pancia a casa, protetti e pagati? Siamo proprio degli scansafatiche. È forse becero questo pensiero che si scaglia contro di noi? È qualunquista? Eppure ho letto degli articoli su alcuni giornali che lo affermavano: i docenti non vogliono lavorare! Per non parlare dei commenti dei soliti leoni da tastiera, gli stessi che, in altri panni, da genitori, agognano la Dad.
Gli stessi che, fino a qualche giorno fa hanno viaggiato, si sono riuniti con gli amici a bordo piscina al suono di Karaoke Guantanamera. Perché, si sa, il divertimento è d’obbligo per questa generazione di genitori cresciuti con le merendine del Mulino Bianco davanti ai cartoni animati di Bim Bum Bam. Quei cartoni dove i docenti erano quasi sempre come la signorina Rottermeier di Heidi. Questo incubo se lo portano ancora dietro tanto da volere edulcorare ogni cosa ai loro figli e la lotta contro il potere severo della scuola deve essere aspra, non bisogna abbassare la guardia, pena il trauma dei giovinetti.
Oggi si scopre che la signorina Rottermeier è pure fancazzista! Che lo smart working abbia interessato varie categorie di lavoratori, questo non importa ai nostri detrattori. Su una cosa però hanno ragione: il nostro lavoro contempla in primis la presenza, l’interazione, la socialità: la nostra normalità che è stata brutalmente sospesa. Ma non ho mai sentito dire da un collega di preferire l’opzione delle lezioni da remoto. Ho visto colleghi seri e preparati, con lunghi anni di onorata carriera alle spalle, arrivare quasi alle lacrime, avviliti davanti a un dispositivo elettronico e alla falce inesorabile della tecnologia che non accettano. Eppure ci provano. Ho ascoltato i loro sfoghi: «Mi mancano i ragazzi», mi dicevano. Per contro alcuni di questi ragazzi, distratti in classe, hanno acquisito altre sicurezze attraverso questo apprendimento alternativo; altri invece sono andati alla deriva, facendo scaturire in noi un senso di impotenza e di inutilità. Mi chiedo però il senso delle affermazioni dei nostri detrattori: «I supermercati sono rimasti aperti durante il lockdown, perché loro non devono andare a lavorare?». Noi non abbiamo lavorato, abbiamo giocato per ore davanti ai nostri monitor. Personalmente sono diventata anche presbite, perché sono poco più che quarantenne, anche se, secondo me c’entra pure la quarantena.
Ma riflettendo mentre scrivo, credo di avere sbagliato: questo breve o lungo sfogo (relativo alla capacità di sopportazione del lettore) non mi fa meno qualunquista di voi, cari detrattori. La paladina accorata dei soprusi subiti dalla classe docente, la voce polemica forse lo è solo apparentemente perché si assiepa a quel sentire che è l’appartenenza a una categoria. La verità è più complessa: ci sentiamo sempre tutti attaccati da chi non è dentro al nostro mondo; per contro, se non apparteniamo a un contesto e non lo conosciamo dall’interno, diamo fiato alle trombe senza saperle suonare. La verità allora diventa improvvisamente una (ammesso sempre che ci sia, la verità): generalizzare è una stupida attitudine. E dietro la cattedra, sotto la toga, la tonaca e il camice c’è sempre l’uomo, quel maledetto folle, oscuro, splendente animale capace di ogni cosa.
Domani io, signorina Rottermeier rientrerò in classe. Troverò alunni cresciuti e alunni nuovi. Avrò voglia di abbracciarli, ma non potrò farlo. Non so ancora di preciso a cosa andrò incontro, nonostante abbia letto più e più volte il nuovo regolamento e abbia già seguito dei corsi in merito, ovviamente da remoto. Non so se in classe saremo come dei controllori o come dei babysitter. O forse entrambe le cose. Come me, le varie signorine Rottermeier d’Italia stanno ricominciando la vita normale che normale non sarà più. Rifletto sul fatto che forse i nostri detrattori ci invidiano perché lavorare con le nuove generazioni, assistere al loro processo di crescita ci rende giovani e anche obbligati alle vacanze in determinati periodi dell’anno. È vero, fare un lavoro intellettuale è invidiabile, stare con i giovani pure. Ma forse le mie affermazioni scaturiscono dal quel maledetto e ingenuo idealismo che ancora mi governa. L’altra mia anima cattivella si chiede un’altra cosa: ma perché quando invidiano noi docenti italiani non invidiano mai i nostri stipendi?