Per presentarvi i “Frascatuli“, ricetta della tradizione contadina, abbiamo deciso di partire da una frase di Andrea Camilleri che dice una grande verità: “Se mentre mangi con gusto non hai allato a tia una pirsona che mangia con pari gusti allora il piaciri del mangiare e’ come offuscato, diminuito“. Il suo protagonista, il Commissario Salvo Montalbano ama mangiare in silente compagnia, però, di buongustai per potersi concentrare totalmente sulle prelibatezze di Adelina o Calogero.
I Frascatuli
Il nome dei “frascatuli“, o frascatula, la polenta siciliana, deriva dal francese “flasque“, cioè molle, che si riferisce proprio alla loro consistenza. Le origini risalgono, invece, ai tempi dell’antica Roma quando si cuocevano assieme: farina di grano, cereali vari e legumi con verdure per preparare una sorta di minestra densa chiamata puls, da cui polenta. E la nostra isola, che era chiamata il “granaio di Roma“, poteva farsi scappare questa tradizione, anche se con le dovute varianti legate all’estro creativo siculo?
Il primo accenno ai “frascatuli” lo troviamo nella “Guerra del Vespro” dello storico Michele Amari nella pagina in cui racconta l’assedio a Messina da parte delle truppe francesi, con le donne siciliane che portavano questo cibo povero ai combattenti: “Donne cresciute in delicatissimo vivere, d’ogni età, d’ogni taglia fur viste a gara sudar sotto il peso di pietre e calcina; e lì, tra il fioccar de’ colpi, recarne a’ lavoranti; girare per le mura dispensando pane e polenta, dissetandoli d’acqua, mescendo vini”.
La frascatula molto presente nel territorio di Enna, la troviamo a Sperlinga, a Troina in cui viene chiamata “piciocia“, a Enna “paniccia“, a Nicosia “picciotta” e, anche, in molti comuni dell’agrigentino, del nisseno e del trapanese, come variante del cous cous, con i granelli ovviamente più grandi. La versione più semplice si ottiene facendo ammorbidire la farina di grano duro in acqua calda, lasciandola cuocere, mescolando continuamente per una decina di minuti, sino ad ottenere la corposità desiderata.
Un’altra versione prevede di cuocere la semola nell’acqua di cottura di un mazzo di finocchietti selvatici, aggiungendoli tagliati a pezzettini e insaporendoli, a cottura ultimata, con olio d’oliva. A Modica va fatta con la sola aggiunta di pecorino e ad Agrigento come un minestrone dove, oltre al finocchietto selvatico, vengono aggiunti cipolla, carciofo e pomodoro. Oggi noi vi proponiamo una rivisitazione al sugo di pesce, tratta dal libro “La Sicilia in Tavola“, sperando che vi incuriosisca.
Frascatuli al sugo di pesce
Ingredienti per 4 persone:
- 400 g di pesce da zuppa
- 300 g di semolino
- 100 g di farina
- 1 cipolla
- 1 spicchio d’aglio
- prezzemolo
- 8 pomodori
- olio extravergine di oliva
- sale
- pepe
Procedimento:
1. In un recipiente largo versate il semolino e la farina, e a poco a poco acqua tiepida quanto basta, lavorate come per la preparazione del cous cous, ricavando delle palline della grandezza di un cecio.
2. Nel mentre fate rosolare la cipolla affettata con lo spicchio d’aglio; aggiungete i pomodori spezzettati, sale, pepe, fate cuocere per circa 15 minuti, aggiungete il prezzemolo tritato e versate la salsa nel passaverdure.
3. Unite il pesce alla salsa e, di nuovo, in padella continuate a cuocere il tutto col coperchio e a fiamma bassa per 10 minuti. Passate nuovamente al setaccio il condimento.
4. Lessate, in abbondate acqua salata, i frascatuli, scolate e mescolateli al sugo di pesce.
5. Continuate la cottura con il condimento per altri 10 minuti, aggiungendo, se è il caso, un po’ d’acqua. Servite caldi.
L’appetito, è il caso di dire, vien leggendo. Buone tradizioni a tutti.
[La foto è tratta dal libro “Sicilia in Tavola]