“La malattia è un lusso per pochi”. Lo sa bene Angela (nome di fantasia, ndr), che non può permettersi di chiedere il prepensionamento per il rischio di essere messa in “inabilità non retribuita” per tre anni, quelli che le mancano alla pensione.
La sua storia inizia nel 2008, con la diagnosi di “artrite reumatoide”, una malattia infiammatoria cronica sistemica che colpisce le articolazioni e può causare nel tempo, oltre a forti dolori, anche la loro deformazione.
Una doccia fredda. L’inizio di un calvario durato 15 anni, fra visite specialistiche in Sicilia, Lombardia e Veneto. Diversi esperti, diverse cure proposte e un’unica costante: “Ogni volta che ho visto uno specialista, ho fatto notare che nella mia famiglia ci sono stati alcuni casi di tumori. Ma alla fine hanno scelto per me una cura biologica. Le mie mani, però, hanno continuato a deformarsi, ho iniziato ad avere livelli alti di osteoporosi e nel frattempo, nel gennaio del 2019, mi è stato diagnosticato pure un cancro al seno”.
Un’operazione, la chemio e la radioterapia. “Stavo malissimo. Ma ho creduto in un miracolo – racconta – perché l’artrite reumatoide si era fermata. E poco mi importava del fatto che a lavoro mi venissero considerati giorni di malattia solo quelli passati in day hospital e non quelli in cui ero costretta a restare in casa tra nausee, dolori e altri sintomi dovuti alla chemioterapia”.
Sconfitto il tumore nel 2021, è arrivata poi l’amara scoperta: “L’artrite non mi aveva abbandonata, anzi. Mentre l’oncologa mi diceva che le cure non erano compatibili, il reumatologo spingeva per evitare altri rischi. Non sapevo a chi dare retta”, spiega Angela. Alla fine, “con tanto di moduli firmati, sotto la mia responsabilità ho optato per gli immunosoppressori che mi hanno proposto – dice – tenendo, però, sempre sotto stretto controllo tutti i valori”. La deformità delle mani aveva, tuttavia, passato ogni limite: “Mangiare, tagliare una fetta di carne o pizza, lavarmi la faccia, o anche solo soffiarmi il naso, era diventato insopportabile. Chi ha le mani sane dà tutto per scontato”, sottolinea.
Arriviamo, così, all’inizio del 2023. Il 18 gennaio, per l’esattezza, dopo un anno in cui è stata considerata “inabile al lavoro”, Angela effettua la visita al Mef. “Visita collegiale, anche se in realtà nella stanza c’era una sola persona, che non mi ha visitato, ma si è limitata a guardare i documenti che avevo portato”, ci tiene a precisare.
I primi di marzo, dopo anni di attesa, finalmente la signora di 63 anni si sottopone a un’operazione a Milano, sfruttando altri permessi per malattia in ufficio, dove aveva conservato il lavoro. Perché, in mezzo a tanta sfortuna, Angela ha un lavoro stabile nella pubblica amministrazione. L’operazione riesce, anche se il recupero ancora non è completo. Cosa che la porta a dover seguire una terapia riabilitativa in un centro specializzato a Padova.
Avrebbe ancora 20 giorni di prognosi post operazione, ma le arriva nel frattempo l’esito della visita al Mef che la obbliga a tornare in ufficio, pena il licenziamento. E lei, che ha già usufruito di tutti i permessi per malattia che la legge le consente, nonché di tutte le ferie previste, torna a lavoro con un’altra mansione.
Per via dei dolori alle articolazioni, non può guidare. La accompagna ogni giorno, quattro volte al giorno, il marito. In ufficio ha diritto a stare seduta, per via dell’osteoporosi, ma ha difficoltà anche a impugnare il mouse del computer. Con lo stipendio già decurtato, rischia il dimezzamento. Le spetterebbe lo smart working, ma lo saprà solo con l’esito della visita che ha svolto martedì 13 giugno con il medico dell’ente per cui lavora, che dovrà dichiarare la sua “fragilità, nonostante sia stata confermata l’inabilità al 100 per cento, oltre che l’articolo 3 comma 3 della legge 104, che prevede tra le altre cose un permesso retribuito di tre giorni al mese”.
Anche se dovesse essere confermata la sua fragilità, al momento Angela potrebbe usufruire dello smart working solo fino al 30 giugno. Per lei e per tutti gli altri dipendenti della pubblica amministrazione, al vaglio della commissione Affari sociali del Senato c’è la proroga fino a fine anno del lavoro a distanza per i soggetti fragili e i genitori di Under 14, che è stato già ottenuto dai dipendenti del privato. Bisogna solo trovare la copertura finanziaria. In alternativa, “forse – dice Angela – potrei riuscire a lavorare da casa due giorni a settimana, meglio poco che nulla”.