Luigi Di Maio arriva a Palermo in punta di piedi. (Il video in diretta dalla nostra pagina facebook). Attraversa i mercati storici a braccetto dei suoi uomini siciliani. Oggi è partito l’Iday, la lunga marcia per spiegare – alle genti di Sicilia – le differenze politiche e culturali tra i Cinque stelle e il resto del mondo. Ma c’è anche da far partire la macchina per sostenere Ugo Forello nella difficile battaglia per la poltrona di primo cittadino a Palermo. Con sulle spalle il peso dell’inchiesta firme false e le beghe romane. La missione del vicepresidente della Camera va spiegata sul piano fenomenologico, ancor prima che politico.
Per capire quel che sta succedendo nell’isola felice si può prendere a prestito una delle pagine più gustose quanto recenti della letteratura made in Sicilia. Di Maio, nel dubbio, cafudda.
Ma lo fa con gentilezza e con stile. Quasi a voler dire, guardate che la rabbia grillina è una rabbia tranquilla. Il motivo c’è. Il vicepresidente della Camera sa bene quanto siano centrali siano le sfide elettorali sotto la linea della palma. Qui si vota a maggio e in autunno. A Roma? Boh.. In fondo è scritto nelle stelle che questa povera, martoriata e meravigliosa terra – nulla si merita poiché nulla sa conquistare – sia per l’ennesima volta l’ago della bilancia dell’Italia che verrà. La presenza del giovane ma già navigato Di Maio a Palermo è per sua stessa natura la notizia. Quel che dice magari delude un po’. In vista delle elezioni ci si sarebbe aspettati un arrembaggio. Che non c’è stato. Di Maio vuole essere antisistema e di governo. Schema già visto, appena ieri: alla conferenza stampa di Orlando. Ma per capire quale sia l’originale della matrice “tutto e il contrario di tutto”, vanno rilette e analizzate le polemiche delle ultime settimane. Non è un caso che tutti i leader candidati alla sindacatura di Palermo (ad eccezione di Ugo Forello per i Cinquestelle) non vogliano avere nulla a che spartire con i simboli di partito. Non vuole simboli Orlando, li disdegna Ferrandelli e non ne desidera nemmeno la “iena” Lavardera. Ora, le cose sono due. O tutti si sono rivolti allo stesso spin doctor o esiste una certezza scientifica, matematica, inconfutabile, buona a stabilire che i simboli dei partiti provocano acuta orticaria all’elettore medio. E parrebbe proprio così, visto che anche per le regionali di piddiuddicinccidieforzitaliati non se ne parla nemmeno. Liste civiche, listoni, movimenti. Questo è il mantra del 2017. Il nostro piccolo effetto Trump. La paura di essere massacrati alle urne ha contagiato vecchi e giovani gattopardi. La disperazione è tale da costringere attachè e sostenitori a inventarsi un po’ di tutto (preconizzare “Cambiamenti” da parte di chi al governo c’è stato è una scelta al limite tra l’autolesionismo e il divertissment puro, ndr) pur di sopravvivere alle forche caudine del vivere in simbiosi sotto l’ombrello di un partito.
Così l’unico marchio che sopravvive al logorio della casta moderna è il logo dei Cinque Stelle. Le inchieste di Roma e Palermo non hanno scalfito la portata della rivoluzione grillina. Veri o verosimili che siano, i sondaggi sull’aria che tira dicono che l’onda scatenata da Grillo ancora si ingrossa. E pare sia pronta a inondare tutta la scena politica. Tutti corrono ai ripari da Bolzano a Palermo. Ma per chi Gattopardo è o lo è stato, abbandonare il proprio marchio politico, come direbbe Jean Baudrillaurd, è soltanto cosmesi funebre. Un po’ come l’arzillo vecchietto dedito al culturismo. Rafforza i muscoli per scongiurare l’inevitabile esito che, infine, tutti ci accomuna. Soltanto così si può spiegare la force tranquille di Luigi Di Maio. Era obbligatorio, oltre che dettato dall’indole dell’uomo, essere sì morbido e diplomatico a Palermo. Qui hanno steso un enorme tappeto verde. Lanciare le fiches nei prossimi mesi equivale a tracciare la road map definitiva per il futuro dell’Italia e, forse (se non ci dovesse anticipare la Francia) dell’Europa.
Nell’inaugurare l’IDAY, Di Maio marca subito la differenza tra l’originale e il falso d’autore. Gli anticasta sono i grillini, chiunque si accinga a seguirlo è solo una stentorea imitazione. “Al governo come primo atto faremo un provvedimento da 17 miliardi di euro per fare il reddito di cittadinanza”, interviene Di Maio, che aggiunge un dettaglio interessante :”pensavo che non ci fossero soldi quando sono arrivato in Parlamento. Ma non è cosi” – ha spiegato. In questi anni quando dovevano scegliere se tagliare i loro privilegi o pensare a voi, hanno scelto i loro interessi. Siamo gli unici che prima di andare al governo ci siamo tagliati gli stipendi. Se li tagliamo a 900 consiglieri regionali avremo miliardi da investire nel lavoro. Non vi diranno mai che abbiamo fatto una cosa buona. Noi vogliamo prendere i soldi e spostarli su cose che servono. Dateci l’opportunità di governare e non spaventatevi quando parlano di caos. Noi siamo sotto assedio“.
Una volta marcata la “situazione del discorso”, per Di Maio lo storytelling è in discesa: “mandateci al governo regionale e anziché tagliare gli stipendi solo ai consiglieri regionali del M5S, taglieremo gli sprechi di tutta la regione. Ai sondaggi non credo, anche quando vanno bene per noi. So solo che siamo l’unica forza politica che in questi anni ha dimostrato che tagliando gli stipendi a pochi consiglieri regionali si possono costruire strade, promuovere progetti di rigenerazione urbana e lanciare il microcredito per imprese e attività commerciali. Oggi abbiamo problemi su trasporti, lavoro e imprese e siamo gli unici che dall’opposizione abbiamo affrontato questi problemi“.
Poi, il racconto prende la strada di Roma. A dimostrazione che le sorti sicule influiranno certamente sul destino della legislatura nazionale. “Stanno facendo una melina allucinante sul voto. Sono passati due mesi dal referendum quando venti milioni di italiani hanno detto basta e hanno sostituito il premier di prima (Renzi, ndr) con quello che ci troviamo adesso (Gentiloni, ndr): uno scaldasedie impaurito che ha paura di andare alle elezioni e possa vincere il M5S.Questi sono chiusi a Palazzo Chigi a fare decreti che salvano le banche, che stanziano 20 miliardi euro per salvare le banche a me non interessa che fa Renzi e se si dimette, a me interessa che stacchi la spina a questo governo Gentiloni e faccia votare il prima possibile“. Con un volo immaginario, Di Maio ripiomba a Palermo per atterrare sulle montagne di spazzatura. Sembra che le abbia notare pure lui: “A Palermo ci sono cassonetti stracolmi di spazzatura, a Roma non ce ne sono più”. La monnezza, la cara solita monnezza. Quella si che è antisistema.