Ci sono i liceali del coro del Maurolico che cantano l’amore per la terra matrigna “si nesci arrinesci” in un video da applausi “Mari fora” con il richiamo alla nota fiction. Ci sono i loro colleghi del liceo La Farina che s’interrogano sul perché parlare in siciliano sia visto in modo sprezzante, “io quando sento un ragazzo che parla in siciliano lo considero uno zallo”. C’è una legge regionale, la n°9 del 2011 che prevede la valorizzazione e l’insegnamento nelle scuole della lingua siciliana ed un successivo atto d’indirizzo della giunta Musumeci nel 2018 rimasto pressocchè lettera morta. C’è uno Statuto Speciale, quello della Regione Siciliana, che è l’unico rispetto alle altre regioni a statuto speciale, che non vede riconosciuta la propria lingua dallo Stato (a differenza ad esempio del sardo e del friulano).
Siamo noi stessi i primi a vergognarci di quella che non è un dialetto ma una lingua, originata direttamente dal latino volgare e inserita dall’Unesco tra le lingue vulnerabili. I nostri genitori hanno imparato a vergognarsene ogni volta che prendevano “moffe” dai nonni se scappava una parola in siciliano e queste moffe sono passate di generazione in generazione fin quando adesso i nostri figli non solo non lo parlano, non lo sanno leggere e men che mai scrivere, ma non lo capiscono proprio.
E gli esperimenti fatti dalla classe del liceo La Farina lo dimostrano.
Invece è tempo di restituire dignità alla nostra lingua, farla uscire dalla clandestinità di un percorso, si direbbe oggi di “cancel culture”, iniziato nel 1860 con l’Unità d’Italia.
E’ tempo di darle valore. Con questi obiettivi si è tenuta, con successo, nell’Aula magna dell’Università di Messina la Tavola rotonda sulla “Dignità della lingua siciliana: riflessioni e proposte operative”, organizzata dall’Associazione Arb in collaborazione con Slow Food Messina ed in occasione della Giornata europea delle lingue.
Come spiegato dal presidente di Arb Davide Liotta l’incontro è l’inizio di un percorso che punta attraverso azioni concrete, in sinergia tra le istituzioni, al recupero della dignità del siciliano ed al superamento di quei pregiudizi storici che hanno minato la nostra identità.
Il dibattito ha visto alternarsi relatori di livello che hanno approfondito i diversi aspetti della tematica, offrendo spunti di riflessione e proposte concrete per non “confinare” l’argomento alla celebrazione di una Giornata o peggio ad una questione tra addetti ai lavori.
Dopo i saluti di Filippo Grasso, delegato del Rettore al turismo, un vero e proprio fiume di proposte è stato il dirigente della Presidenza del Consiglio, il messinese Aurelio La Torre, intervenuto da Roma in remoto e che dopo aver fatto una lucida analisi su come il siciliano sia “scomparso” dai radar ufficiali e relegato a dialetto (con connotazioni negative dovute agli stereotipi) ha illustrato una serie di idee che coinvolgono sia il mondo della scuola e dell’Università, che l’Ars, i governi regionali ma anche gli stessi comuni. Proposte sia normative che operative (come la settimana della lingua siciliana da celebrare nei giorni a cavallo del 15 maggio).
Il fatto è che l’azione davvero rivoluzionaria che dovremmo fare è scrollarci di dosso l’idea che il siciliano sia la lingua del Padrino, o quella dei terroni, o quella dei contadini mandati al macello nella prima guerra mondiale perché non capivano gli ordini in italiano.
Chi negli ultimi anni si è battuto dall’Europa a Palermo per la lingua siciliana è Ignazio Corrao, che ha ricordato quanto siamo noi stessi i primi a vergognarci della nostra lingua. L’europarlamentare, che a dicembre terrà a Bruxelles un’iniziativa in tal senso, con i “siciliani” che parlano davvero ancora il siciliano in tutto il mondo, sta seguendo i passaggi, o meglio, l’uscita dal “cassetto” dell’atto d’indirizzo del 2018 affinchè si tramuti in fatti reali nelle scuole. Ha poi citato l’esempio del presidente della Regione Sardegna che in occasione del suo insediamento ha fatto un intervento di 40 minuti in lingua sarda. Dalle nostre parti in realtà non solo non è mai successo né mai potrebbe accadere perché un politico che riesca a parlare in siciliano 40 minuti di fila non c’è, ma soprattutto sarebbe stato mal visto e sarebbe finito su tutti i giornali con commenti legati ad un linguaggio poco nobile per non dire mafioso.
Pesano i pregiudizi, risalgono al passato e sono duri a morire se fanno parte del nostro dna. Il professor Dario Caroniti, ha spiegato in modo chiaro come ha funzionato il metodo di marginalizzazione del siciliano dall’unità d’Italia in poi. Non è stato semplicemente un fatto squisitamente politico perché ad esempio, la Tv (o meglio un certo tipo di televisione) ha poi compiuto definitivamente quell’omologazione verso il basso, quell’impoverimento con il quale facciamo i conti oggi. Insomma, se ancora un secolo fa c’era resistenza, da Barbara D’Urso al Grande Fratello passando per i programmi cult di Maria De Filippi sono arrivati i colpi definitivi.
Il docente dell’Università di Messina ha evidenziato quanto sia importante recuperare questi spazi e i video realizzati dagli studenti dei licei classici Maurolico e La Farina dimostrano che i giovani non aspettano altro. Sono “assetati” di conoscenza. Daniele Macris, docente del Maurolico ha ricordato che il siciliano non è “soltanto” la lingua di chi è nato nell’isola, ma è parlata in tantissime altre parti sia del meridione che del mondo. Il ruolo dei docenti è fondamentale, se la Regione li dota di strumenti normativi e operativi, come dichiarato anche dalla dirigente del liceo La Farina Caterina Celesti che ha illustrato una serie di progetti già realizzati dagli studenti. Tra tutti il video con la storia di Graziella Campagna uccisa dalla mafia (in siciliano).
In sala c’era la professoressa Rosa Gazzara, che ha tradotto (dal greco) in siciliano l’Odissea (ma anche la Divina Commedia ed altri libri), un testo che è stato usato dal regista Vincenzo Tripodo per un laboratorio teatrale di grande impatto. Tripodo, da artista, ha usato le parole di una poesia di Ignazio Buttitta arrivate come un pugno nello stomaco ai presenti. Per ridurre al silenzio, per ridurre in catene un popolo, non servono solo le armi e la violenza fisica. E’ la cancellazione dell’identità che lo rende vinto. Tripodo indica la strada dell’arte, del linguaggio, un linguaggio affascinante e ricchissimo, come forma di affermazione dell’identità.
E se l’etnoantropologo Sergio Todesco si è soffermato su come la lingua siciliana sia figlia di dominazioni ed esprima un’identità formata da diverse culture, anche nella gastronomia “abbiamo il cous cous ma anche le stigghiole e il macco”, Peppino Restifo, docente Unime ha usato il “cunto e il canto” di Rosa Balistreri, la cantastorie, perdirla con il sociologo Francesco Pira “negletta ma non dimenticata”. Restifo con un intervento “cantato” passato attraverso le serenate e le poesie, ha restituito ai presenti il calore di una lingua ricca, elegante, fatta di carne e di sprazzi di luce.
Il siciliano, come hanno suggerito i relatori e come si evince dai video degli studenti, può entrare nelle scuole con i cunti, i canti, il teatro, l’affascinazione di una lingua che, come ribadito da Todesco è viva, vitale.
Interessante la riflessione portata a fine dibattito dalla linguista Angela Castiglione, che ha illustrato gli studi e le iniziative del Dicam dell’UniMe in relazione alla promozione e alla salvaguardia del siciliano.
Applausi per l’esibizione del giovanissimo quartetto dell’ Orchestra Filarmonica di Giostra, composto da Gabriele Silipigni al clarinetto, Emmanuela Paolata al flauto, Santina Nibali al violino e Giuseppe Denaro al fagotto e che si sono cimentati su Mascagni e su due ballate siciliane scritte dal direttore dell’orchestra Giuseppe Lo Presti.
La tavola rotonda è stata il primo step, seguiranno altre iniziative. Per proposte e suggerimenti c’è già una pagina aperta ai contributi di tutti.
https://gruppoarb.com/dignita-della-lingua-siciliana