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Ponte sullo Stretto, gli industriali siciliani: “Nessun futuro senza”

lunedì 15 Giugno 2020
ponte sullo stretto di Messina

Il Ponte sullo Stretto? Decidere di costruirlo vuol dire non realizzare o completare mai le altre infrastrutture indispensabili per la Sicilia e la Calabria: quindi meglio non farlo.

Una formula che in un dossier ‘corale’ degli industriali delle due regioni del Mezzogiorno, viene bollata come inaccettabile perché senza visione e pretestuosa da parte di quanti, anziché puntare su un modello di sviluppo libero da dipendenze politiche ed economiche, finisce per essere un alibi per guardare all’economia del Sud con lo specchietto retrovisore.

Sicindustria, Confindustria Catania, Confindustria Siracusa, insieme con Unindustria Calabria hanno appena pubblicato una analisi con la quale veicolare quella che considerano, così si legge nel documento, come una istanza di civiltà. Muovendo dai seguenti rilievi: 65 anni, ovvero il periodo da quando si è cominciato a vagheggiare o discutere del Ponte; 960 milioni di euro già spesi; circa 300 progettisti coinvolti, nonché 100 tra società, enti e atenei.

Ma, ancora oggi, per allacciare la Sicilia al Continente e coprire i poco più di 3 chilometri tra Messina e Villa San Giovanni occorre caricare automobili e treni, con i convogli appositamente spezzettati, dentro la ‘pancia’ del ferry boat. Che, ricordando la frase di Alberto Sordi in un celebre film, ‘arrivò’. Ma che per combinare le operazioni di imbarco, navigazione e sbarco lo sbarco richiede, sempre che non ci siano intoppi, almeno un’ora.

Situazione scandalosa, rimarca il dossier degli industriali, quella per la quale “un progetto di rilancio e unità del Paese diventa terreno di scontri politici e merce di scambio nella becera partita delle logiche spartitorie”. Quando invece la ripresa dell’Italia passa dall’alta velocità, specie in regioni come Calabria e Sicilia. E quindi dal ponte sullo Stretto.

Dovremmo smetterla una volta di insistere con atteggiamenti pregiudiziali: il progetto del ponte a campata unica è un’opera fondamentale per ridurre il gap logistico dell’intero Mezzogiorno, avvicinare i nostri mercati di sbocco con tempi e costi più ridotti e approvigionare di materie prime la nostra attività manifatturiera sostiene Ivo Blandina, presidente di Camera di Commercio e della delegazione di Sicindustria di Messina -. Significa insomma riposizionare in maniera competitiva l’economica siciliana, un mercato di 5 milioni di persone che, in termini economici, paga molto di più la distanza con il Nord Italia rispetto ai 1.200 chilometri che corrono tra questa macro area e la stessa Calabria”.

Fino ad oggi il Ponte sullo Stretto è costato quasi un miliardo. La Corte dei Conti ha calcolato che la Società Stretto di Messina ha speso dal 1981, anno della sua costituzione, al 2013, anno della decisione di liquidarla, 958.292 milioni di euro. A questi vanno sommati altri sei milioni dal 2013 al 2016.

Ecco il dettaglio dell’iter di spesa della Spa. Dal 1981 al 2001, oltre 74milioni per studi di fattibilità, ricerca e progetto di massima. Tra il 2002 e il 2003 ne ha spesi altri 91 per il progetto preliminare e gli atti di convenzione e, nel biennio successivo, poco meno di 147 milioni per la gara di appalto, il piano finanziario, i sistemi informativi e gestionali.
La sospensione delle attività nel biennio 2007-2008 è costata, paradossalmente, 160,612 milioni. Nel 2008 sono iniziate le attività per gli accordi con i contraenti, l’aggiornamento delle convenzioni e il piano finanziario terminate l’anno successivo, che hanno comportato un ulteriore spesa di 172,637 milioni. Tra il 2010 e il 2013 la Stretto di Messina ha speso 312,355 milioni per la stesura del progetto definitivo, il monitoraggio ambientale, l’aggiornamento del piano finanziario e la stipula dell’atto aggiuntivo.

Nel 2013 la liquidazione della società è costata quasi due milioni l’anno nel 2014 e 2015 e 1,5 milioni per il 2016. E ancora oggi la Stretto di Messina è attaccata al respiratore artificiale di un commissario liquidatore pagato 160 mila euro all’anno, a cui si aggiungono le spese legali di un contenzioso giudiziario con l’affidataria dei lavori Eurolink, ancora in corso.

Non costruire il Ponte – continua Blandina –  è un non sense indegno di un paese civile . Anche perché il richiamo a opere più essenziali è ormai un refrain vuoto, accompagnato dal quadro sconfortante, per la Sicilia, di 400 cantieri ancora bloccati relativi a opere progettate, finanziate, aggiudicate. A questo punto, tali problemi si potranno risolvere a maggior ragione se il Ponte si farà, diventando la sutura tra sistemi economici e aree diverse del territorio nazionale”.

Quanti ancora reclamano ferrovie e porti, strade, ospedali e acquedotti ancora da costruire o ristrutturare non sono stati in grado di soddisfare esigenze di avanzamento socio economico urgenti da tanto tempo per allinearci alle altre aree del Paese e dell’Unione Europea. Grandi opere pubbliche come il Ponte sullo Stretto sono essenziali anche perché si tratta di un cantiere che in 6-7 anni darà lavoro a decine di migliaia di persone e con procedure e sistemi di controllo efficaci avrebbe un impatto positivo straordinario sull’ intero sistema-paese. E, nel rispetto delle verifiche di impatto ambientale, agire rapidamente come si fa in ogni area del mondo civile. Del resto anche noi abbiamo un grande esempio, nel nuovo ponte di Genova, ricostruito in un anno, mettendo in campo risorse umane e capacità tecnologiche e organizzative”.

 

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