Secondo il 21esimo rapporto “Ospedali & Salute”, promosso da Aiop (Associazione Italiana ospedalità privata) e realizzato in collaborazione con il Censis, il 47,7% degli utenti ha una percezione positiva del Servizio sanitario della propria regione ma dall’altro il 35,2% degli utenti che vivono nelle aree del Mezzogiorno la boccia pesantemente.
Il Rapporto è uno strumento di monitoraggio dell’efficacia e efficienza del sistema ospedaliero italiano, in entrambe le sue componenti, di diritto pubblico e di diritto privato, e offre una valutazione del Servizio Sanitario Nazionale basata su analisi che tengono conto sia dei dati ufficiali pubblicati dal Ministero della Salute e da Agenas sia dell’esperienza diretta dei pazienti.
In particolare, il Sistema sanitario regionale è giudicato insufficiente dal 19,4% dei cittadini del Nord-ovest del Paese, dal 9,4% del Nord-est, dal 17,7% delle regioni del Centro e dal 35,2% dei cittadini del Sud e Isole. Ne danno invece un giudizio “positivo” il 55,7% dei cittadini del Nord-ovest, il 66,7% del Nord-est, il 49,7% del Centro e il 29% di Sud e Isole.
Emerge inoltre, si legge nell’indagine, “un’estrema eterogeneità nella qualità degli interventi e dei trattamenti offerti dalle strutture del Ssn: una variabilità tra aree geografiche, ma anche all’interno di una stessa area geografica e tra strutture”. Ad esempio, nell’area cardiocircolatoria, mentre nel Nord, e ancora più nel Sud e nelle Isole, la proporzione di strutture di diritto privato di ‘qualità alta/molto alta’ è superiore rispetto a quella delle strutture pubbliche (al Nord il 58% delle strutture pubbliche sono giudicate di qualità alta contro il 68% delle private accreditate e al Sud il 47% delle pubbliche contro il 65% delle private accreditate), nel Centro la situazione è ribaltata (è giudicato di alta qualità il 68% delle pubbliche contro il 44% delle private accreditate). Sempre al Centro, inoltre, le strutture di qualità bassa/molto bassa sono proporzionalmente di più tra le strutture accreditate.
Aumentano i cittadini con redditi più bassi che rinunciano alle cure
Nel 2023, il 42% dei pazienti con redditi più bassi, fino a 15 mila euro, è stato costretto a procrastinare o a rinunciare alle cure sanitarie perchè nell’impossibilità di accedere al Servizio sanitario nazionale e non potendo sostenere i costi della sanità a pagamento. La quota di chi è costretto a procrastinare o rinunciare alle cure scende al 32,6% dei redditi tra i 15 mila e i 30 mila euro, il 22,2% di quelli tra i 30 mila e i 50 mila euro e il 14,7% di quelli oltre i 50 mila euro.
L’indagine punta i riflettori anche su un altro fenomeno allarmante: “l’effetto erosivo” sulla ricchezza che, ovviamente, impatta in modo difforme sulle classi di reddito. Il 36,9% degli italiani ha infatti rinunciato ad altre spese per sostenere quelle sanitarie: è il 50,4% tra i redditi bassi, il 40,5% tra quelli medio-bassi, il 27,7% tra quelli medio-alti e il 22,6% tra quelli alti.
La quota di cittadini che, dopo aver inutilmente tentato di accedere al Ssn, si rivolge alla sanità a pagamento è del 34,4% dei redditi più bassi, del 40,2% di quelli medio-bassi, del 43,7% dei medio-alti e del 41,7% dei più alti.
“Tempi di attesa incongrui con la gravità e complessità del quesito diagnostico o della diagnosi – si legge nell’indagine – rappresentano uno degli elementi di maggiore iniquità nell’ambito di un sistema a vocazione universalistica, dal momento che determinano una divaricazione tra coloro che possono rivolgersi al mercato delle prestazioni sanitarie al di fuori del Ssn e coloro che, per ragioni economico-sociali, non possono ricorrere alla sanità a pagamento. Per questi ultimi l’alternativa è tra un’attesa suscettibile di compromettere, in tutto o in parte, il proprio stato di salute e la rinuncia alle cure”.
Inoltre, aumenta anche la quota di persone che si rivolgono direttamente alla sanità a pagamento, a fronte della consapevolezza degli ostacoli all’accesso alla sanità pubblica: si tratta del 40,6% dei bassi redditi, del 48,7% dei redditi medio-bassi, del 57% dei redditi medio-alti e del 63,3% dei redditi più alti.
La “via crucis” della mobilità sanitaria, liste d’attesa lunghe
Negli ultimi 12 mesi, il 16,3% delle persone che hanno avuto bisogno di rivolgersi ai servizi sanitari si è recato in un’altra regione, nell’ambito delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario, al netto dunque di eventuali spostamenti per accedere a prestazioni in regime privatistico.
La motivazione più ricorrente della mobilità, che riguarda il 31,6% dei migranti sanitari (ed il 51,8% di coloro che dichiarano di essere in cattiva salute), è quella relativa all’eccessiva lunghezza delle liste di attesa nella propria regione. Lo evidenzia il 21/mo Rapporto ‘Ospedali & Salute’, promosso da Aiop (Associazione Italiana ospedalità privata) e realizzato in collaborazione con il Censis.
Ai pazienti che “migrano” in altre Regioni bisogna anche aggiungere un 19,3% di coloro che – pur restando nell’ambito del Servizio sanitario regionale di pertinenza – sono costretti a percorrere più 50 km per usufruire della prestazione di cui necessitano.
Tra le motivazioni alla base della mobilità regionale nel Servizio sanitario, il 26,5% di segnalazioni indica la volontà di ottenere un servizio migliore, rispetto a quello che si ritiene si sarebbe ottenuto nel proprio Servizio sanitario regionale. A ciò si aggiunge un 17,1% di migranti sanitari che non ha trovato la particolare tipologia di prestazione sanitaria di cui aveva bisogno.
Ed ancora: si sposta per avere un secondo parere l’8,7%, mentre il 9,8% lo fa perchè abita in una zona di confine e le strutture fuori Regione sono più vicine o comode.
Il Rapporto evidenzia che il 53,5% degli italiani dichiara che, nel corso dell’anno, ha dovuto affrontare tempi di attesa eccessivamente lunghi rispetto alle tempistiche utili; il 37,4% segnala la presenza di liste bloccate o chiuse, nonostante siano formalmente vietate. Il risultato è che ogni 100 tentativi di prenotazione nel Ssn, le prestazioni che restano nella Sanità pubblica (pubblico e privato accreditato) sono il 60,6%.
La quota che rinuncia e si rivolge alla sanità a pagamento – intesa come privato puro e intramoenia – è del 34,9% (il 29,9% nel Nord-Ovest, il 26,5% nel Nord-Est, il 39,3% nel Centro e il 40,7% nel Sud e Isole) ed è così articolato: 11,9% in intramoenia; 17,9% nel privato puro; 5,1% nel privato sociale; 4,6% in polizze assicurative.