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Il ritorno degli enti di area vasta

Risorgono le Province, ecco come saranno

venerdì 9 Giugno 2023

“Nuova disciplina in materia di funzioni fondamentali, organi di governo e sistema elettorale delle Province e delle Città metropolitane e altre disposizioni relative agli enti locali” è questo il titolo del disegno di legge che il 6 giugno è approdato in 1° commissione Affari Costituzionali del Senato e che di fatto risusciterà le Province che vennero “abolite” nel 2014 dalla cosiddetta riforma Delrio.

In realtà nel 2014, malgrado tanta propaganda, non venne abolito un bel niente perché la legge Delrio prevedeva una riformulazione delle Province che venivano trasformate in enti di secondo livello, per i quali non sono cioè più previste elezioni dirette. Le province vennero così sostituite da assemblee formate dai sindaci dei Comuni del territorio e da un presidente: è previsto anche un terzo organo, il consiglio provinciale, formato dal presidente della provincia e da un gruppo di 10-16 membri – in base al numero degli abitanti della provincia – eletti tra gli amministratori dei comuni. La riforma Delrio era stata pensata come una legge transitoria in attesa del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, promosso dal governo guidato da Matteo Renzi per chiedere tra le altre cose di eliminare la parola “province” dalla Costituzione: un passaggio formale e obbligato per il compimento della riforma, che però non si verificò a causa della disfatta referendaria che travolse tutte le riforme renziane. La mancata approvazione della proposta lasciò quindi incompleta la riorganizzazione che avrebbe dovuto perfezionarsi con una nuova riforma per definire meglio le competenze delle province depotenziate. Rimase soltanto la legge Delrio che, insieme ai drastici tagli ai trasferimenti decisi dai governi, causò notevoli difficoltà nella gestione di settori importanti rimasti di competenza delle province, come l’edilizia scolastica, l’ambiente, i trasporti, la manutenzione delle strade, e che soprattutto creò una certa confusione su poteri e responsabilità di questi enti.

Ma adesso la maggioranza di centrodestra sembra decisa a fare sul serio e punta a far risorgere in breve tempo, vista i numeri solidi in Parlamento, le Province per rimediare a questa riforma incompleta ma anche per restituire ai partiti nuove poltrone da spartire soprattutto dopo i tagli drastici di seggi che hanno interessato Camera e Senato.

Il testo che è già all’esame della commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama e unifica più disegni di legge e interviene su funzioni fondamentali, organi e sistema elettorale delle Province.

Ma vediamo nel dettaglio come saranno le Province risorte.

Il ddl delinea un sistema articolato su un Presidente e un Consiglio provinciale che durano in carica 5 anni e su una Giunta provinciale nominate dal Presidente. Relativamente alla composizione del Consiglio e della Giunta il testo divide le Province in 3 fasce. Delle 76 Province delle Regioni a Statuto Ordinario: nella fascia sotto 500 mila abitanti rientrano 56 Province, ovvero la maggioranza degli enti, e si prevedono 20 consiglieri e 4 assessori; nella fascia tra 500 mila e 1 milione di abitanti rientrano 17 Province e si prevedono 24 consiglieri e 6 assessori; nella fascia oltre 1 milione di abitanti rientrano solo 3 Province (Bergamo, Brescia, Salerno) e si prevedono 30 consiglieri e 8 assessori.
Per le Città metropolitane è prevista una divisione in due fasce: sopra e sotto 1 milione di abitanti, con la previsione di un numero di consiglieri e assessori uguale alle 2 fasce con più abitanti delle Province. (24-30 consiglieri e 6-8 assessori).

La riforma restituirà alle Province e alle Città metropolitane precise competenze: dall’ambiente ad alcuni servizi pubblici soprattutto inerenti ai trasporti, i sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione, programmazione e rete scolastica compresa l’edilizia, lo sviluppo economico e territoriale e la gestione delle strade provinciali.

L’aspetto che però è più interessante per i partiti è il ritorno all’elezione diretta di Presidenti e consiglieri: per diventare presidente a primo turno basterà raggiungere il 40%, senza il quale si andrà al ballottaggio tra i primi due contendenti mentre per l’elezione dei consiglieri torneranno i collegi plurinominali dove, di norma, verrà assegnato un numero di seggi non inferiore a 3 e non superiore ad 8. Prevista anche la doppia preferenza di genere. La stessa disciplina elettorale è prevista per il Sindaco metropolitano.

Infine, secondo il ddl, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della nuova norma, sarà emanato un DPCM per l’individuazione delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie all’espletazione delle funzioni fondamentali riconosciute alle Province. Risorse per le funzioni ma anche per pagare le indennità di Presidenti, assessori e consiglieri.

Il provvedimento nazionale è particolarmente atteso in Sicilia che, pur essendo stata la prima durante la presidenza della Regione di Rosario Crocetta a dire addio alle Province, adesso con Renato Schifani a Palazzo d’Orleans ha già pronto un ddl di riforma regionale per ‘risvegliare’ le Province regionali che però avrà la strada spianata solo quando a Roma verrà abrogata la legge Delrio. La Sicilia, secondo i progetti del Governo Schifani, potrebbe così avere sei Province più tre Città Metropolitane, ovvero Catania, Messina e Palermo. Il progetto di riforma regionale rispecchia in gran parte gli orientamenti romani ma rispetto al ddl in discussione a Palazzo Madama introduce la figura del consigliere supplente, aumentando così sensibilmente le poltrone a disposizione dei partiti che, numeri alla mano, potranno contare per le province con popolazione superiore al milione di abitanti su 36 consiglieri e massimo 9 assessori; per quelle tra cinquecentomila e un milione di abitanti, su 30 consiglieri e fino a 7 assessori, mentre quelle con meno di 500.000 abitanti si dovranno “accontentare” di 24 consiglieri e giunte con massimo sei assessori.

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