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Le parole

Ventennale della strage di Nassiriya: il ricordo di Marco Intravaia, figlio del vicebrigadiere Domenico

sabato 11 Novembre 2023

Quest’anno il 12 novembre coincide con una ricorrenza importante: il ventennale della strage di Nassiriya in cui persero la vita 28 italiani, di cui 17 militari, fra di loro il vicebrigadiere Domenico Intravaia.

La sua città natale, Monreale, e Palermo lo hanno ricordato insieme agli altri italiani morti con un’autobomba nella base “Maestrale”. Ieri le manifestazioni si sono svolte nella città normanna, dove al vicebrigadiere è stata intitolata una strada ed è stata celebrata una messa di suffragio in cattedrale dall’arcivescovo Gualtiero Isacchi. Oggi le iniziative si sono spostare nel cuore di Palermo, a Palazzo d’Orleans e a seguire a Palazzo dei Normanni, sempre alla presenza dei vertici civili e militari. Nella sede del Governo Regionale, il presidente Renato Schifani ha deposto una corona d’alloro nella targa che ricorda i Caduti di Nassiriya, cerimonia che il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno ha ripetuto nel Cortile Maqueda. È seguita la celebrazione eucaristica nella Cappella Palatina, officiata dal cappellano militare Salvatore Falzone che ha elencato per nome tutti i caduti i caduti. A conclusione un concerto a Sala d’Ercole. Domani le celebrazioni si spostano a Roma.

Marco Intravaia, figlio di Domenico, è oggi deputato regionale e Presidente del Consiglio Comunale di Monreale. Per questa ricorrenza particolarmente importante, che rinnova un dolore mai sopito, ha tracciato un bilancio della parabola che lo ha portato dallo sgomento e dalla disperazione alla determinazione di tenere alto il nome e l’esempio del padre, affrontando vuoti e frustrazioni senza mai arrendersi.

Voglio ringraziare – sono le prime parole di Marco Intravaia, figlio di Domenico – di vero cuore il presidente della Regione Renato Schifani e dell’Ars Gaetano Galvagno per avere voluto queste manifestazioni in occasione del ventennale e avere testimoniato con la loro presenza la vicinanza a noi familiari e alla Sicilia tutta, che in quella strage ha pagato un alto tributo di sangue. Sono trascorsi venti anni da quel maledetto 12 novembre che ha portato via mio padre, ma il ricordo di quella giornata resta indelebile nella mia memoria. Ero a scuola, al liceo, e alla mia compagna di banco arrivò un messaggio che la informava di un attentato al contingente italiano. Chiamai casa molto preoccupato e non mi rispose mia madre ma un parente, mi resi conto subito di quello che era accaduto. Vennero a prendermi e trovai a casa i colleghi e i compagni di papà. In un primo momento era come vivere la vita di un altro, ma ho dovuto realizzare in fretta: ero un ragazzo spensierato e mi sono ritrovato adulto di colpo. Sapevo che da quel momento mi sarei dovuto occupare io di mia madre e mia sorella. Non è stato facile rialzarmi, papà mi è mancato e mi manca sempre. Ho dovuto affrontare da solo le tappe più importanti della mia vita, sono diventato due volte padre e continuo ad essere guidato dal suo esempio. È assente nel corpo ma è una presenza costante nelle nostre vite. Questi sono stati anni durissimi per la mia famiglia, ma sempre vissuti con dignità e tanto orgoglio. Era un papà affettuoso, allegro e disponibile, amava il suo lavoro, la divisa che indossava e servire il suo Paese con umiltà e senso del dovere. Mi sarei voluto arruolare anche io, ma non ho voluto lasciare da sole mia madre e mia sorella. Ho capito presto che si può servire la Patria in tanti modi, io lo faccio attraverso la politica intesa come attività messa a disposizione della collettività. Mi sento comunque parte della grande famiglia dell’Arma e conservo dentro di me la frase del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Gli alamari sono cuciti sulla pelle” e così me li sento io. Sono orgoglioso di essere figlio di un vero servitore dello Stato che mi ha insegnato a credere nei valori costituzionali, nelle Istituzioni e ad amarle. Papà ha servito la Nazione fino all’estremo sacrificio, consapevole del pericolo, praticamente certo di potere morire da un momento all’altro. Non è la morte che lo ha reso un degno servitore dello Stato, ma è il coraggio con cui ha affrontato la sua ultima missione, con cui ha ubbidito agli ordini superiori con cui, nonostante tutto, è rimasto in silenzio a servire l’Italia fino alla fine, fino all’estremo sacrificio consapevole del pericolo. Oggi quei valori che mi ha insegnato mi consentono di servire con onestà e amore la nostra terra nel ruolo di Parlamentare.  Adesso vivo la sfida di un padre che tenta di trasmettere quei valori ai suoi nipoti i quali, come noi, sono e saranno sempre più orgogliosi del nonno.

Da allora i momenti difficili e dolorosi sono stati tanti e non soltanto legati alla mia crescita personale. È una ferita aperta il mancato conferimento della Medaglia d’Oro al Valore Militare alla Memoria per 17 militari italiani appartenenti all’Arma e all’Esercito che facevano parte della memoria “Antica Babilonia”. Tutti erano a conoscenza dei rischi che correvano ma sono rimasti sul posto, per difendere l’Occidente dal terrorismo, tenere alti i valori della pace, della bandiera e della Repubblica Italiana presso quel popolo sfortunato e distrutto dalla guerra. Insieme agli altri familiari lanciamo un appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al Ministro della Difesa Guido Crosetto affinché sia concessa la più alta onorificenza per un militare. Un altro nervo scoperto è la vicenda giudiziaria che non ha ancora fatto luce sulle responsabilità dei vertici militari che ignorarono le informative dei servizi segreti rispetto ai rischi della missione. L’allora generale dell’Esercito Bruno Stano è stato condannato in Cassazione per non avere attivato tutte le procedure di sicurezza che avrebbero ridotto l’entità della strage. È grande il rammarico per avere avuto in quella sede lo Stato contro, attraverso l’Avvocatura che ha difeso e difende l’imputato e il Ministero della Difesa, che ha provato e prova a negare tutte le evidenze e le responsabilità emerse e conclamate.  Noi familiari, ma anche l’intero Paese, abbiamo bisogno di verità sulla più grande strage di militari del dopoguerra, morti per assicurare la pace e la convivenza civile internazionale.

Oggi posso dire con serenità di non odiare nessuno. I terroristi che erano rimasti in vita hanno pagato con la condanna a morte in Iraq. Non odio lo Stato per essersi schierato contro di noi e contro una verità che all’inizio provò ad insabbiare. Lo Stato ha una sua sacralità e se penso ad esso penso a mio padre. Sono amareggiato dal comportamento di alcuni uomini che rappresentano lo Stato, ma ognuno vive di proprie sensibilità e di visioni soggettive… E papà con il suo esempio silenzioso mi ha insegnato ad accettare anche tutto ciò…

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