Sul dopoguerra siciliano, parlo del secondo dopoguerra, si è scritto molto e, nella maggior parte dei casi, in modo purtroppo superficiale e preconcetto. Non é questo il caso del recente saggio di Francesco Cangialosi, “Il dopoguerra in Sicilia. Dal separatismo all’Autonomia (1943-47)”, edito da Palermo University Press, che ne costituisce una felice eccezione per la serietà e il rigore scientifico – senza cioè lasciare spazio alle tante leggende metropolitane che sul tema circolano – con cui il lavoro di ricerca è stato condotto. Cominciamo col dire che, gli anni presi in considerazione dall’autore, “Anni roventi” direbbe un ricercatore di tutto rispetto come Salvo Di Matteo, sono stati segnati da eventi e abitati da personaggi la cui decodifica è stata pesantemente influenzata dalle passioni politiche e che, quindi, confrontarsi con essi per ricavarne narrazioni e interpretazioni svincolate dai pregiudizi di parte, è operazione assai ardua e, in molti casi, persino frustrante ma non tale da demotivare l’autore del libro.
Il risultato, una ricostruzione puntuale e coerente su quanto avvenne in quel tempo in cui si sono gettate le fondamenta della storia siciliana negli anni della democrazia repubblicana. Al centro di tali avvenimenti sta, com’è naturale che ci sia, il tema che, dall’unità in poi, ha appassionato generazioni di siciliani, mi riferisco all’Autonomia regionale, aspirazione purtroppo mortificata da quella visione centralista prevalsa dopo il 1860 tradendo così le tante aspettative che avevano alimentato il moto unitario nell’isola. Nel secondo dopoguerra si manifestarono, infatti, le condizioni favorevoli perché il sogno di una Sicilia “Regione nella nazione”, si potesse alla fine realizzare. Cangialosi, con attenzione certosina al particolare, ripercorre il cammino che portò al varo dello Statuto del 1946, offrendo risposte accettabili ai tanti interrogativi ancor oggi presenti che alimentano un vivace dibattito politico.
Quale peso ebbe il Separatismo nel convincere Roma della opportunità di concessione dello Statuto autonomistico? E’ una delle prime domande che l’autore si pone insieme a quella sul ruolo delle forze politiche, a cominciare dai partiti di massa, nello spingere il governo centrale a concedere quell'Autonomia così a lungo sognata come strumento di crescita e di sviluppo di una terra che non era riuscita a garantire futuro ai suoi figli. Per non cadere nella superficiale polemica e dare risposte serie, l’autore offre una mole considerevole di ricerca documentaria che consente di avere un quadro tutt’altro che approssimato di ciò che avvenne in quegli anni restituendo a figure emblematiche di quegli anni, penso fra tutti a Salvatore Aldisio, il giusto ruolo di protagonisti della storia.
Dunque tantissima carne al fuoco, che fa del saggio di Francesco Cangialosi un libro importante che ha peraltro il pregio di sfuggire al linguaggio accademico, quello per addetti ai lavori, perché adotta un registro narrativo letterario, denso di metafore evocative, tale da rendere il racconto più leggero e, in conseguenza, più accettabile a chiunque nutra interesse per le vicende della nostra terra.