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Il tempo non conta in un’isola come la Sicilia che sa attendere, con una pazienza forzata, le evoluzioni di storie velate da segreti, sospetti e indagini giudiziarie in corso. Sa attendere o forse non si interroga sulla verità, che è peggio.
La faccenda del Caravaggio rubato a Palermo dall’oratorio di San Lorenzo risale a 50 anni fa e soltanto adesso, probabilmente, la matassa della vicenda si sta lentamente dipanando.
Durante l’incontro che sia è svolto al Teatro Biondo, organizzato dagli “Amici dei musei siciliani“, è stata proposta, per la prima volta in versione integrale, la video intervista realizzata nel 2001 da Massimo D’Anolfi.
Il regista, infatti, durante la lavorazione di un film aveva incontrato il parroco del tempo, monsignor Benedetto Rocco, che, poco prima di morire, aveva voluto fortemente parlare dell’accaduto.
Nel video il monsignore ha raccontato di aver ricevuto due lettere dagli emissari della mafia che chiedevano di avviare la trattativa. Il sacerdote ha aggiunto anche di averne parlato con il sovrintendente ai Beni Culturali del tempo, Giuseppe Scuderi, il quale è stato di recente sentito dai carabinieri del nucleo per la tutela dei beni culturali. Scuderi, invece, ha dato una versione diversa, sostenendo di non essere mai stato informato di contatti con uomini della mafia.
Al di là della concreta o meno possibilità che si riescano a scoprire dinamiche e responsabili del furto è stato interessante riflettere sulla Palermo di ieri e di oggi.
“Mi auguro che questa importantissima e simbolica tela non venga mai ritrovata, cosicché questa ferita aperta rimanga a monito della città“. Frasi come lampi quelle del sindaco Orlando che dal palco del Biondo non ha avuto parole accondiscendenti per monsignor Rocco, per il solo fatto di aver anche solo pensato di trattare con la mafia per il recupero dell’opera del Caravaggio.
Dalla discussione post proiezione a cui hanno partecipato, oltre a Bernardo Tortorici, al regista D’Anolfi e al sindaco Orlando, anche Padre Giuseppe Bucaro, direttore dell’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidocesi, Italo Scaietta, presidente della Federazione Italiana delle Associazione degli Amici dei Musei, il giornalista Riccardo Lo Verso e Maurizio Ortolan, in servizio negli anni ’90 nel Nucleo centrale antimafia, è emersa la carenza di strategie e azioni finanziarie per la tutela dell’immenso patrimonio artistico-culturale della città.
La Palermo di cinquant’anni fa era ben diversa, per certi aspetti, da quella di oggi. Tra tutti il punto più incredibile è che il valore di un’opera così importante venisse totalmente sottovalutato e assolutamente non protetto. Oggi la valorizzazione dei beni culturali del capoluogo, rispetto ad allora, è certamente cambiata per quanto non manchino falle nella gestione economica e concreta della loro fruizione.
L’opera fu trafugata dall’oratorio tra il 12 e il 17 ottobre del 1969, sotto la totale disattenzioni anche di chi fruiva l’Oratorio quotidianamente.
Da allora i collaboratori di giustizia hanno dato versioni contrastanti sul furto e soprattutto sulla fine del prezioso dipinto. Francesco Marino Mannoia ha sostenuto, dapprima, che l’opera sarebbe stata distrutta da ladri maldestri e data in pasto ai maiali; Gaetano Grado, dal suo canto, ha riferito che il quadro sarebbe finito in Svizzera tagliato in vari pezzi.
Significativa, poi, la testimonianza di Maurizio Ortolan, in servizio negli anni ’90 nel Nucleo centrale antimafia.
Ortolan ha ricordato gli interrogatori che il giudice Giovanni Falcone fece, personalmente, a Mannino Mannoia che, per primo, trattò l’argomento del furto dichiarando, probabilmente per timore di ritorsioni, che il quadro fosse andato distrutto.
Tra le trame di un mistero che tutt’oggi rimane fitto quello che ritorna alla ribalta della cronaca, che trova nuovo accoglimento tra le forze investigative, tanto che la Procura sarebbe sul punto di recarsi in Svizzera, è la considerazione che dal primo istante la tela fosse nelle mani della mafia del mandamento di Carini, così come dichiarato da monsignor Rocco all’epoca.
È fuori di dubbio, infine, che pagare un riscatto alla mafia, perché in soldoni di questo si sarebbe trattato, eticamente sarebbe azione esecrabile ma, cosi come sottolineato da D’Anolfi, tanti riscatti sono stati pagati per liberare ostaggi politici e civili anche negli ultimi anni.
Dobbiamo credere, dunque, che un’opera d’arte di inestimabile valore per l’intera umanità non valga la pena di essere recuperata in qualunque modo?
Lasciamo ai nostrI lettori le personali considerazioni.