Il mondo della ristorazione e dei pub, sia per le ragioni commerciali che riguardano tutte le attività sia per il fatto di avere come requisito quell’aggregazione sociale per cui la pandemia ha richiesto un ridimensionamento drastico, è uno di quelli che ha maggiormente risentito dello shock economico causato dal Covid-19.
Se i due mesi di lockdown ad entrate zero avevano già avuto un impatto forte su attività che devono fare i conti con significative spese gestionali sia dal punto di vista infrastrutturale che personale, le ultime disposizioni contenute nei Dpcm di ottobre hanno stretto ulteriormente maglie già fitte.
Da parte della categoria da un lato c’è la consapevolezza senza negazione alcuna della necessità di avere dei protocolli di sicurezza sanitaria da applicare con scrupolo; dall’altro un’innegabile e crescente preoccupazione per il futuro. Una preoccupazione che è stata espressa dai ristoratori di Palermo che abbiamo intervistato nella realizzazione di questo articolo.
Francesco D’Amore, proprietario del Basquiat Cafè in Piazza Sant’Oliva ha sottolineato come per lui le normative precedenti già garantissero una sicurezza adeguata e come un nuovo inasprimento potrebbe avere conseguenze importanti: “Sicuramente il periodo non è stato dei migliori per nessuno. Le normative precedenti a quelle attuali a mio avviso sono corrette e necessarie. La prima parte ha richiesto organizzazione da parte di tutta la categoria ed è stata di una certa difficoltà perché è stata una novità per tutti: dover affrontare un mostro più grande di noi. Credo che lo Stato non sia stato in grado di darci le giuste rassicurazioni anche perché per le stesse istituzioni si trattava di qualcosa di mostruoso e non messo in conto. La necessità di andare avanti ci ha comunque spinto ad adeguarci secondo i protocolli precedenti e attuali. Ci siamo rinforzati perché aver superato la prima parte ed essere nelle condizioni di affrontare la seconda ci da fiducia. Non posso però dire in pieno di condividere in pieno gli ultimi decreti: sono consapevole del fatto che questi siano fatti e siano necessari perché molte persone ignorano, volentemente o nolentemente la situazione. Ci sono però delle esagerazioni: nel momento in cui c’è rispetto di tutti i protocolli in quanto a presidi, distanze e divieto di assembramenti diventa eccessivo vietare di prendere una birra in piedi alle 19. Se una persona prende una birra alle 19 e lo fa nel rispetto di tutte le regole non c’è motivo di andare a stringere le maglie e sacrificare un momento di ritualità come l’aperitivo. Limitarci ulteriormente porterebbe con se conseguenze significative: si rischiano a lungo andare per la categoria riduzioni di personale, ridimensionamento di spese di fornitura, con tutto quello che ne deriverebbe. A mio avviso, se si fosse mantenuto uno stato di rispetto delle normative durante l’estate, probabilmente tutto questo si sarebbe potuto evitare: ad ogni modo questa è la situazione e la affrontiamo”.
Giorgio Adragna, gestore dell’attività a conduzione familiare Osteria Trabucco in via dei Bottai, ha spiegato che le strette degli ultimi Dpcm per i ristoranti sono solamente una piccola parte delle sanguinose difficoltà che si affrontano nella gestione ordinaria della ristorazione: “Rispetto all’anno scorso visto il clima particolare che si è creato ed in cui ci troviamo si registra una perdita che ammonta quantomeno al 50%. Con il nuovo Dpcm cambia di per sé poco per noi ristoranti, rispetto ai nostri colleghi dei pub che la mazzata la stanno subendo davvero, perché comunque con la chiusura alle 24 le persone possono organizzarsi per poter mangiare prima. Certo comunque è che già da tempo c’è una circolazione ridotta causata dal clima di paura che si è creato in questi ultimi mesi e che si riflette nelle nostre attività. In questo senso un grande problema resta sostanzialmente quello della Ztl notturna. Chi vuole venire al centro storico è costretto a spendere necessariamente 5 euro, che nel bilancio di una serata per alcuni potrebbero incidere. Quindi ormai sono tanti quelli che se la pensano e alla fine optano per altre soluzioni magari anche fuori porta perché proporzionalmente il costo è quello. Per quanto riguarda gli aiuti a livello nazionale al netto dei contributi una tantum con cui abbiamo coperto parzialmente le spese d’affitto, di luce ,stipendi per il personale non è arrivato nulla di quello che era stato annunciato mentre a livello regionale c’è stata poi la questione del click day che si commenta francamente da sola. Noi comunque non ci fermiamo: continuiamo a impegnarci e a lavorare come abbiamo sempre fatto fiduciosi del fatto che le persone capiscano che in sicurezza possano gustarsi una buona cena senza correre alcun rischio dando una mano ad un settore ormai in piena crisi“.
Difficoltà su tutti i livelli amplificate da un sostegno relativo alle aziende il cui riscontro è stato confermato anche da Toti Ballotta, proprietario della Drogheria del buon gusto in Via Giosuè Carducci: “C’è stata una leggera ripresa ma la flessione comunque c’è. Le persone hanno tanta paura di stare seduti ai tavoli: noi fortunatamente siamo organizzati per i protocolli di distanza e di igiene. Prima non si navigava nell’oro ma si andava avanti: oggi avvertiamo un clima di paura. Il perso è purtroppo perso: per recuperare ci servirà tempo. L’aiuto da parte delle istituzioni è stato veramente misero: per quel che mi riguarda non sono riuscito a coprire nemmeno l’affitto del locale. Ci vorrebbe un aiuto serio e concreto: è giusto che si prendano provvedimenti drastici vista la situazione sanitaria ma se si decide di farlo bisogna venire incontro alle aziende che soffrono. Noi oltre che le spese di gestione dei locali dobbiamo pagare le bollette e le spese ordinarie della nostra vita quotidiana. Viviamo un momento veramente difficile, cerchiamo di tirare avanti facendo la nostra parte ogni giorno e sperando in misure concrete di supporto per la categoria. Noi continuiamo comunque a lavorare e per fortuna i clienti in termini di rispetto delle regole fanno la loro parte”.
Alessio Costa, amministratore del pub CaMus in Via Giuseppe Platania, ha spiegato con contezza di dettagli quelle che sono le problematiche in questa fase segnata dal Covid denunciando una situazione potenzialmente drammatica: “Le difficoltà sono principalmente quelle legate al sostenimento dei costi di gestione: mantenere un’attività operativa significa riuscire a coprire questi costi sia a livello immobiliare, di attrezzature e macchinari sia per quanto riguarda il sostenimento del costo della forza lavoro senza dover intervenire sui netti delle buste paga. Inoltre tutto quello che riguarda finanziamento degli investimenti al momento è impossibile perché manca la liquidità e/o il credito necessario. Non fare investimenti significa non far crescere l’azienda e non far crescere l’azienda significa che l’azienda rischia di stagnare e, nel peggiore dei casi, collassare. Quanto finora accaduto, in termini di decrescita economica, è ancora nulla in confronto a quello che potrà succedere tra 6/12 mesi quando la stagnazione in molti casi e per molte aziende cederà il posto al collasso e al fallimento. Rispetto a quanto fatto finora dallo Stato, credo che sarebbe stato vagamente sufficiente se oggi fossimo nelle condizioni di riprendere l’attività ai ritmi pre-covid. Ma dal momento che così non è, allora è necessario intervenire ancora. D’altro canto appare molto complicata e lenta la gestione dei processi di erogazione di liquidità. Pertanto sarei per intervenire con processi di defiscalizzazione e detassazione, processi che si dovrebbero finanziare attraverso ulteriori scostamenti dal rapporto deficit/PIL. Ma è chiaro che manovre del genere coinvolgono livelli decisionali e istituzionali ulteriori rispetto alle sole istituzioni nazionali (UE e BCE su tutti). Tuttavia questa mi sembra una delle poche strade realmente percorribile per celerità ed efficacia. Se si ritarda ancora, il rischio grosso è quello che la situazione diventi irrecuperabile e la pioggia di licenziamenti nel 2021 causi una fortissima contrazione della domanda interna che porterà il paese a doversi vincolare ad accordi economico-finanziari da usura per racimolare quattro spicci”.
Le testimonianze dei ristoratori di cui sopra sono l’ennesima, dolorosa, drammatica conferma di quanto in fondo si sarebbe dovuto mettere nel conto ovvero che all’emergenza sanitaria, purtroppo tutt’altro che alle spalle, stia definitivamente prendendo campo l’emergenza economica della quale il Covid è stato purtroppo il più balordo degli amplificatori.
Senza con questo voler negare quanto sia infida e complessa la sfida su tutti i livelli è necessario che alle sacrosante regole anti-contagio si affianchino delle risposte concrete nei confronti dell’intero tessuto economico e di quei settori che per la loro “disfunzionalità aggregativa” stanno catalizzando una pressione insostenibile.