Quante visite in Sicilia per il presidente del Consiglio in carica nel giro di pochi mesi? L’andirivieni sul tragitto Roma – Palermo sono il “numero primo” del rischio referendario. Con le quattro visite a strettissimo giro di comunicati stampa, Renzi ha già stabilito un record. Nulla di male, anzi parecchio di buono perché in Sicilia sono molte le cose da dire e da fare, i progetti da ratificate, i “Patti” da sottoscrivere e le crisi da affrontare. Ma c’è un eco di fondo in questo sfrigolare di progetti e proposte. Ed è senza dubbio il voto del prossimo 4 dicembre.
Renzi chiuderà in Sicilia la campagna referendaria. L’ennesima – quarta- tappa nell’isola, prevista dal 2 al 3 dicembre, vedrà il premier planare su Palermo e Catania a caccia della moltitudine di votanti e indecisi. Che in Sicilia sono veramente tanti. Oltre gli scogli di Scilla, gli elettori che hanno diritto al voto sono quasi quattro milioni e mezzo.
Un po’ per indolenza, un po’ perché i problemi della vita quotidiana non sono appesi alla riforma del sistema legislativo, i dati dei sondaggisti da mesi rimbombano come un mantra nei pensieri del “riformista” Renzi. Qui non si tratta di stabilire se la riforma sia giusta o sbagliata ma solo di comprendere il perché di tanto presenzialismo in salsa isolana da parte del capo del governo. Con i sondaggisti ai box per non condizionare le decisioni degli italiani, basta riepilogare le rilevazioni delle ultime settimane, astenendosi dal raccontare da quale parte penda la bilancia sul voto referendario. E concentrarsi così sugli indecisi.
In Italia il 25% degli elettori non ha idea di cosa votare. Molto probabilmente non sa neanche se andrà a votare. La maggior parte di questa platea muta è concentrata al Sud. Il dato degli indecisi o astensionisti schizza addirittura al 30% dalle nostre parti. Li ha contati con precisione quasi chirurgica quel siciliano illustre che risponde al nome di Pietro Vento. L’unico sondaggista col sorriso: la sua capacità di “forecasting” ha sfondato il muro dei mainstream nazionali. Tv e media nazionali si abbeverano alla sua fonte che quasi mai sbaglia. Perché i sondaggi, si sa, non possono essere scienza perfetta, anche se di numeri si tratta.
Vedasi Brexit e Trump vs. Clinton. Sono proprio questi due recentissimi episodi a consigliare una certa prudenza nel dare per scontato, in un senso o nell’altro, l’esito del voto referendario in Italia. Ma per vincere il referendum, dal nodo scorsoio della Sicilia e della marea di indecisi si deve pur passare. Questo è chiaro. Pallottoliere alla mano, gli uomini marketing del premier – guidati da quel Jim Messina che tanto meriti ebbe nell’elezione di Hussein Barack Obama nel 2008 – hanno capito che ancora una volta la partita si gioca qui, in Sicilia. Non è una novità.
Vogliamo riepilogare le tappe storiche della centralità siciliana nel tesseract delle sorti italiche? Andiamo a braccio. Seconda guerra mondiale: la concessione dello Statuto anticipa la Costituzione che ora si prova a riformare. Poi venne il primo maggio di Portella delle Ginestre, il suo carico di morte e la deviazione della storia con il Blocco del Popolo destinato a governare il Paese ma ricondotto “manu militari” – da Yalta e non solo – ad un ruolo subalterno durato oltre 50 anni.
E si potrebbe andare avanti così per ore, camminando tra piccoli e grandi coriandoli di storia. Passando dal Milazzismo che segnò la prima scissione della Dc in Italia, ai tentativi di Golpe targati Cosa Nostra, dalle suadenti avventure finanziarie di Michele Sindona in comunella con le grandi banche d’affari milanesi, sino ad arrivare all’attacco allo Stato del 1992. Per poi, infine, arrivare ai primi vagiti di riscossa, con il ripudio della commistione Stato-mafia, con la nascita delle “Rete” di orlandiana memoria (toh, il sindaco di Palermo è ancora in sella) e la liquefazione della Prima Repubblica.
In questa cornice di siculocentrismo, si può forse tacere dell’epopea berlusconiana made in Sicily? Nel bene e nel male, è passata da qui, dall’isola Felix, ma non troppo. Quel successo venne cristallizzato dalle cronache nel “61 a 0” diventato leggenda, ma ancora prima ebbe la sua genesi in una ragnatela mai chiarita di relazioni occulte e inconfessabili. Così, non c’è nulla di nuovo nel pensare alla Sicilia come al cuore di tutte le cose, la terra da cui tutto si dipana e dove tutto – il più grande degli amori come il più truculento degli orrori – può diventare possibile.
Quel milione e mezzo di voti siculi appesi al filo dell’indecisione sono, è vero, il destino di Matteo Renzi. Ma sono anche i volti, i nomi e le storie di siciliani probabilmente delusi, tristi, abbandonati al fardello di un quotidiano difficile da mandare giù. Nessuno può sapere quali siano le loro ragioni. Ancor più difficili da scovare sono le corde da toccare per spezzare il torpore del non voto. Renzi, di sicuro, alla fine le avrà provate tutte.
Così, in fin dei conti, potrebbe toccare proprio a noi siciliani, il compito di decidere le sorti del 4 dicembre. Un voto, quello referendario confermativo, che in un modo o nell’altro farà chiarezza e segnerà la road map dei prossimi mesi, orientando quel che sarà il destino del governo nazionale e gli equilibri da ricercare per il 2017, l’anno delle tante elezioni.