Leggendo le pagine di Lina, il bel romanzo di Alfredo Ingegno pubblicato da Nuova Ipsa, il ricordo mi è subito andato alla vicenda di Useppe il protagonista di uno dei più bei racconti di Elsa Morante, scrittrice di grande spessore letterario e civile da tempo dimenticata. E questo perché il racconto di Ingegno, che affonda le radici nella sua storia personale visto che i personaggi che animano la narrazione sono stati sua madre e i suoi nonni, si svolge in quegli anni drammatici che vedono l’Italia in guerra e poi in balia degli odi e dei rancori che, troppo spesso si mutarono in atroci eventi, che seguirono alla sconfitta, ma anche per la cifra di scrittura carica di realismo e di forte capacità introspettiva.
Quando accade al vicecommissario, e poi commissario, Giannetto – un siciliano che si trova nel nord del Paese a svolgere con dedizione, ma senza fanatiche passioni, il suo lavoro di investigatore – una storia che lo accomuna a tanti funzionari pubblici che guardarono con disincanto, e magari con fastidio, l’avvento e poi l’affermarsi del fascismo e che tuttavia continuarono a svolgere il proprio lavoro, come se nulla fosse cambiato, mortificando anche quelle che sono le proprie convinzioni personali.
Un uomo ligio al dovere che intreccia una relazione superficiale con una giovane donna che ha i suoi problemi, dalla quale nasce una figlia che complica la sua situazione professionale visto che allora i regolamenti non permettevano ai funzionari di polizia di mettere su famiglia prima di una certa età.
Per sfuggire alla complicazione il commissario Giannetto, con un certo cinismo, convince la compagna a mettere la figlia appena nata, a cui la madre dà il nome Lina che è poi quello di una vecchia zia, in un brefotrofio, un istituto per bambini abbandonati.
Per la compagna, donna debole e incapace di ribellarsi, è una ferita gravissima che la porta a vivere in bilico fra la speranza potere di un giorno riavere con se il frutto del suo amore e lo sforzo di rassegnazione per quella che potrebbe essere una perdita definitiva.
Giannetto, da un’immagine non positiva egli appare un personaggio carico di dubbi, che vive una quotidianità rassegnata inconsapevolmente in attesa di trovare sé stesso.
E per trovare sé stesso entra in scena ancora una volta una giovane donna. Si tratta di Camelia una donna politicamente impegnata, una ribelle che non si ferma davanti al pericolo che incombe su ogni italiano che la pensa in modo diverso dal regime.
Una donna insegnargli cosa sia in effetti l’amore anche se tuttavia non riesce a spezzare il conformismo per il quale il commissario arriva perfino ad accettare ciò che in realtà non ama.
Quel conformismo lo porta infatti a sposare, senza trasporto, proprio quella donna che gli ha dato la figlia.
E proprio quella figlia, Lina, finalmente ritrovata, alla quale si attacca fino a farne l’unica ragione della sua vita mentre deve registrare un radicale mutamento caratteriale nella madre di Lina, una donna che, patologicamente muta la sua lunga attesa in quasi odio per il frutto di quell’attesa anche perché quella bambina le appare che rubi l’amore del marito.
Un romanzo da leggere per riflettere sulle miserie umane, sui sentimenti, sulla stessa storia.