La Sicilia è terra di tradizioni culinarie e dolciarie e i suoi abitanti, abituati a cotante bontà, amano praticare, durante tutto l’anno, uno sport in cui eccellono, quello di mangiare, fino quasi a scoppiare, una carrellata di dolcezze senza fine. Il periodo pasquale si presta molto bene a questo “duro” allenamento e, allora, pronti, partenza e gnam gnam. Elenco: cassata, agnello pasquale, aceddu o cuddura cù l’ova, tronchetto messinese, pani da cena, cassatella trapanese e cassatella di Agira, ‘mpanatigghi, biscotti quaresimali e cubbaita.
La cassata
La cassata, tripudio di pasta reale e frutta candita, una festa anche per gli occhi e, un tempo, sfizio solo dell’aristocrazia per il suo costo proibitivo, oggi, nel giorno di Pasqua, è immancabile sulle tavole delle famiglie siciliane. La “cassata dolce” che, così come la conosciamo noi, avrebbe fatto la sua comparsa tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, compare sia nel libro di cucina dell’abbazia di San Martino delle Scale, che tra gli ingredienti cita “mendole scaldate e ben mondate, zuccaro insieme con cannella, garofali”, sia nel dizionario settecentesco di Michele Pasqualino in cui viene definita “spezie di torta fatta di ricotta raddolcita di zucchero con rivolto di pasta anch’essa raddolcita, e fatta in forma ritonda”, poteva essere avvolta da fettine di mollica di pane o biscotti freschi e sostituire la ricotta con creme, marmellate, cioccolata e, in estate, con gelato.
La cassata al forno
Un’altra tipologia di cassata, ancora più antica della precedente, è quella al forno che, fatta di pasta frolla con ripieno di ricotta zuccherata, scaglie di cioccolato, pezzetti di zucca o cedro candito, veniva preparata dalle monache carmelitane soltanto in occasione della Santa Pasqua perché, per la sua forma tonda, era simbolo del sole nascente e, quindi, della resurrezione di Cristo. Un antico proverbio recita: «Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua».
L’Aceddu cù l’ova
L’Aceddu cu l’ova, chiamato anche Pupi cu l’ovu, Palummedde, Campanaru, Cannatuni, Cannileri, Panareddu, Cuddura, ha un’ origine da ricercare, addirittura, nel mito di Demetra, protettrice della fertilità della terra, e della figlia Persefone che, dalla sua dimora negli inferi, col suo ritorno, salvava gli uomini dalla fame. Il nome “campanaru” richiama la campana, il “panareddu”, il panierino, e la “palummedda”, la colomba della pace. Da non dimenticare il “cuore” che, nei tempi antichi, veniva preparato dalle future spose per portarlo in chiesa, durante la funzione pasquale, farlo benedire e donarlo ai fidanzati come pegno d’amore. L’etimologia della cuddura merita, invece, un discorso a parte e, infatti, deriverebbe dal termine greco κολλύρα, kollura, che significa pagnotta e corona. I greci, con questo termine, definivano dei pani che venivano offerti agli dèi per chiedere e ottenere benevolenza durante alcuni riti religiosi.
L’Agnello pasquale
L’agnello pasquale, impasto di mandorle modellato con l’aiuto di formine di gesso e, nella tradizione cattolica, simbolo per eccellenza del sacrificio di Cristo, si narra che venne preparato per la prima volta dalle suore del Collegio di Maria, del quartiere “Batia” di Favara, che si tramandarono oralmente i segreti della preparazione. Una curiosità è che questo dolce, tanto bello quanto buono, fu offerto il 12 maggio 1923, a Papa Giovanni XXIII, in visita a Caltanissetta e Agrigento, dal canonico Antonio Sutera che, facendogli fare tappa nella sua casa di Favara, gli offrì quello preparata dalle sante mani di suor Concetta Lombardo del Collegio di Maria. Papa Roncalli lo apprezzò a tal punto che, a 40 anni esatti, precisamente, l’11 maggio 1963, ricevendo il nuovo vescovo ausiliare di Agrigento, Monsignore Calogero Lauricella, accompagnato dal teologo Antonio Sutera, nipote del canonico, volle ricordare due cose in particolare, la visita ai templi di Agrigento e l’Agnello pasquale, consumato a Favara. Dalla metà del Novecento, Favara è denominata “Città dell’Agnello pasquale” e, dal 1997, ha una sagra a lui dedicata.
Tronchetto messinese
Il tronchetto messinese, disponibile solo nei giorni che precedono la Pasqua, è un morbido pan di Spagna bagnato con liquore, farcito di crema gianduia, ingrediente di eredità sabauda, rivestito di cioccolato, con la forma dei tronchi delle potature e decorato con piccoli frutti di martorana e l’immancabile agnellino al pascolo, che richiama, bucolicamente, la campagna siciliana in primavera.
‘Mpanatigghi
Gli ‘mpanatigghi, che risalirebbero alla dominazione spagnola in Sicilia, sarebbero stati ideati nel ‘600 dalle suorine di un convento di Modica che, per dare sostegno ai frati predicatori in tempo di Quaresima, quando il digiuno era un precetto, camuffarono la carne con cioccolato e mandorle. Il suo nome deriva dallo spagnolo empanadas o empadillas, che significa “farcite”.
Cassateddi di Pasqua
I cassateddi, secondo la leggenda, nacquero intorno al ‘700 a Calatafimi, nel trapanese, per celebrare la festività pasquale. A introdurli furono, probabilmente, gli spagnoli, anche se non vi sono sufficienti fonti storiche ad attestarlo. Dal trapanese la tradizione si diffuse a tutta la Sicilia, con nomi e, a volte, anche con ingredienti diversi. A Marsala ad esempio, si chiamano ‘capiduzzi’, a Mazara ‘raviola’. Un curioso aneddoto, che riguarda i cassateddi del Monastero di Santa Oliva a Palermo, racconta che le suorine, per soddisfare la grandissima richiesta dei cittadini, ritardavano alle funzioni liturgiche, motivo per cui l’Arcivescovo fece posizionare un messo davanti al portone del convento che gridava: “cu nnappi nnappi r’e cassateddi i Pasqua”, espressione, tuttora in uso, per sottolineare che “chi ha avuto ha avuto e ciò deve bastare”. La cassatedda trapanese è fritta, quella di Agira ha un guscio di pasta frolla.
Biscotti Quaresimali
I quaresimali sono biscotti tipici del periodo pasquale, simili ai cantucci toscani. L’origine risalirebbe agli antichi monasteri di Palermo dove venivano realizzati dalle monache di clausura. Due le principali varianti, da derby: quella palermitana, preparata con scorza d’arancia candita a cubetti, zucchero e pistacchio, e quella catanese, invece, con frutta candita, mandorle tostate tritate, zucchero, uova, gomma arabica e pistacchio.
La Cubbaita
La Cubbaita, chiamata in palermitano, anche, “cubarda”, è una sorta di torrone con mandorle o sesamo, miele e zucchero che se nella Sicilia Orientale viene preparata, soprattutto, in occasione del Natale, in quella occidentale è facile trovarla in vista della Santa Pasqua.
Pani da cena
I Pani da cena, preparati alla maniera dell’entroterra siculo, sono biscotti che hanno la particolarità di avere incisa una croce sulla superficie e di essere, una volta cotti, ricoperti di glassa e guarniti con codette di zucchero colorate. Esteticamente somigliano alla ciaramicola umbra.
Il nostro dolce tour giunge al termine. Non ci resta che augurarvi una Buona Pasqua.