Migliaia di giovani per le strade di Trapani in occasione della manifestazione regionale dedicata alle vittime di mafia. E’ la “Giornata della Memoria e dell’Impegno per ricordare tutte le vittime innocenti delle mafie” che per la prima volta – dal 1996 – lo scorso 7 marzo è stata riconosciuta da una legge dello Stato. Il titolo della manifestazione di quest’anno, organizzata da Libera e Avviso Pubblico, è “Luoghi di speranza e testimoni di bellezza” e ha avuto come palcoscenico principale la città di Locri, in Calabria, dove nei giorni scorsi è intervenuto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fratello dell’ex presidente della Regione siciliana Piersanti, ucciso da Cosa Nostra nel 1980.
In città sono giunti giovani da tutte le città siciliane che dopo aver percorso le strade principali hanno letto i nomi delle oltre 950 vittime innocenti delle mafie. Un elenco incisivo che comprende bersagli storici di Cosa Nostra (tra cui magistrati, giornalisti e imprenditori) e cittadini comuni. In molti hanno dedicato delle lezioni specifiche per capire l’evoluzione delle mafie e l’attualità delle metodologie criminali che hanno portato alla loro uccisione. Per l’occasione sono scesi in piazza anche molti sindaci e il prefetto Giuseppe Priolo che nei giorni scorsi ha autorizzato l’accesso agli atti del comune di Castelvetrano ad una Commissione indicata dal Ministero dell’Interno per verificare il rischio di infiltrazione mafiosa a Palazzo Pignatelli. I commissari ieri sono piombati in città iniziando ad analizzare atti e delibere della giunta guidata dal sindaco Felice Errante che affronterà, ha detto, “con la serenità di chi non ha nulla da temere questa ulteriore prova”. La coincidenza tuttavia è parecchio significativa. Tra le vittime elencate non c’è stato Vito Lipari, sindaco di Castelvetrano ucciso il 13 agosto 1980 da un commando di mafia su ordine di Nitto Santapaola. A sostenerlo politicamente erano stati i noti esattori Nino e Ignazio Salvo ma quando Lipari cercò di far luce sui finanziamenti legati alla ricostruzione della valle del Belice, dopo il terremoto del 1968, venne ucciso e l’unico a raccontare udienza per udienza il processo sulla sua morte fu Mauro Rostagno, che nel 1988 venne ammazzato a Valderice da Vito Mazzara, su ordine del boss Vincenzo Virga.
Nella provincia trapanese c’è una mafia più viva che mai, trasversalmente impegnata a condurre i propri affari, mascariando (sporcando) tutto ciò che gli sta attorno. Succede con le persone e capita con le città. Nel capoluogo magistrati e giudici hanno lanciato l’allarme di “carenza d’organico” mentre le operazioni di polizia e carabinieri cercano quotidianamente di stringere il cerchio attorno al latitante Matteo Messina Denaro. La sua famiglia è ormai del tutto offline, alcuni sono in galera, altri sono bannati dalle Prefetture di mezza Italia ma gli ultimi blitz hanno evidenziato i continui tentativi di ottenere appalti e dispensare subappalti. Poi c’è la gente onesta. Quella che in questi anni ha denunciato gli affari del boss, rispondendo alle domande dei magistrati che fra Trapani e Palermo continuano a dare la caccia al latitante. C’è Elena Ferraro, imprenditrice della sanità minacciata da Mario Messina Denaro (cugino del latitante castelvetranese arrestato e condannato nell’ambito dell’operazione Eden), che oggi ha commentato l’accesso agli atti del Comune come “una grande opportunità per i cittadini perché verrà passato al vaglio l’operato di questa amministrazione e, qualunque sarà l’esito, di certo sarà foriero di numerose risposte”. C’è Nicola Clemenza, che alcuni anni fa denunciò le estorsioni della mafia del Belice, e c’è Giuseppe Cimarosa, figlio del collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa morto alcuni mesi fa, dopo aver ricostruito gli affari della famiglia Messina Denaro fino alle ultime dichiarazioni sugli imprenditori Rosario Firenze e Giovanni Maria Adamo che hanno convinto il Ministero dell’Interno a inviare i commissari a Castelvetrano.
A Locri in seguito alla visita del presidente Mattarella sono comparse delle scritte che hanno indignato l’intero paese. “Più lavoro meno sbirri“, o ancora “don Ciotti sbirro” riferendosi al fondatore di Libera e ancora “Don Ciotti sbirro siete tutti sbirri” e “Don Ciotti sbirro e più sbirro il sindaco”. Messaggi forti che, in provincia di Trapani da anni vengono passati al setaccio. Gli investigatori ne conservano tutte le istantanee: da quella raccolta sulle mura di una scuola a quelle disseminate tra i casolari trapanesi fino a quello comparso alcuni anni fa alle spalle della Cattedrale di Palermo. Una metodologia tutta da approfondire. E da ricordare.